Perché il Regno Unito sta chiedendo alle persone di eliminare le vecchie e-mail?

La sorprendente richiesta di eliminare le email rientra nelle misure adottate per contrastare la siccità che sta colpendo diverse regioni del Regno Unito.

Cambiamento climatico
Dietro ogni e-mail si nasconde un dispendio invisibile di energia e di risorse ambientali.

La recente richiesta delle autorità britanniche di cancellare le vecchie e-mail non è un semplice gesto simbolico. Dietro questa raccomandazione dell'Agenzia per l’Ambiente del Regno Unito si nasconde un problema reale e in crescita.

Quest’estate, diverse regioni inglesi sono entrate ufficialmente in stato di siccità, dopo aver registrato i sei mesi più secchi dal 1976. Il governo ha imposto restrizioni sull’uso dei tubi da giardino, ha invitato a fare docce più brevi e persino a raccogliere l’acqua piovana per irrigare i giardini. Ma stavolta ha aggiunto un’avvertenza meno evidente: anche il mondo digitale consuma acqua.

Ogni e-mail, foto o file salvato nel cloud viene archiviato in enormi centri dati sparsi in tutto il mondo. Questi server funzionano 24 ore su 24, generando un calore enorme. Per evitare il surriscaldamento, si utilizzano sistemi di raffreddamento complessi che richiedono enormi quantità di acqua.

Cambiamento climatico
Il raffreddamento dei server è una delle principali sfide ambientali dell’era digitale.

Uno studio dell’Università di Oxford stima che un centro dati di medie dimensioni, da appena un megawatt, può consumare fino a 26 milioni di litri d’acqua all’anno. Con l’espansione dell’intelligenza artificiale, questa cifra non fa che aumentare.

Per questo motivo, anche se l’archiviazione individuale sembra poca cosa, moltiplicata per milioni di utenti diventa un numero enorme. Il contributo di ogni persona, eliminando dal cloud i file inutili, si tradurrebbe in minore pressione sui centri dati e quindi in un minor uso di acqua per mantenerli operativi.

“Invitiamo tutti a fare la propria parte per ridurre la pressione sul nostro ambiente idrico. Decisioni semplici e quotidiane, come chiudere il rubinetto o cancellare vecchie e-mail, contribuiscono all’impegno collettivo per ridurre la domanda e preservare la salute dei nostri fiumi e della fauna selvatica”, ha dichiarato Helen Wakeham, direttrice del settore acque dell’Agenzia per l’Ambiente e presidente del Gruppo Nazionale per la Siccità.

Cambiamento climatico
Ogni e-mail archiviata su un computer occupa spazio anche su server remoti.

Inoltre, non solo e-mail e file contano. Le videochiamate e le ore trascorse a guardare contenuti in streaming generano anch’esse un impatto idrico reale. Secondo alcune stime, guardare contenuti online per un’ora può richiedere tra i 2 e i 12 litri d’acqua, a causa del raffreddamento dei server che rendono possibile tutto ciò.

Il paradosso dell’intelligenza artificiale

I progressi dell’IA hanno alimentato la costruzione di centri dati in Europa, Stati Uniti e Asia. I modelli linguistici, come quelli che generano testi o immagini, richiedono sessioni di addestramento che possono consumare milioni di litri d’acqua in pochi giorni, per raffreddare le infrastrutture.

L’Agenzia Internazionale dell’Energia ha stimato che una normale ricerca su Google consuma in media 0,3 wattora di elettricità; mentre una richiesta a ChatGPT può arrivare a circa 2,9 wattora. La differenza è significativa.

Cambiamento climatico
I grandi data center sono diventati parte integrante dell’impronta digitale globale.

Ricerche recenti dell’Università della California hanno mostrato che l’addestramento di un modello di IA su larga scala può consumare tanta acqua quanto migliaia di abitazioni in un anno. Non è un caso che le aziende tecnologiche cerchino di stabilirsi vicino a fiumi o fonti abbondanti di acqua dolce, il che a sua volta genera tensioni a livello locale.

Tutto questo apre un dibattito sulla sostenibilità digitale. Quanto costa, in termini ambientali, una vita iperconnessa e l’espansione dell’intelligenza artificiale? Prima o poi queste saranno questioni inevitabili da affrontare, e sarà necessario ripensare l’impronta invisibile delle nostre attività digitali.