Gli scienziati studiano le piante che "creano" acqua nel deserto in condizioni estreme
I ricercatori del Consiglio nazionale delle ricerche spagnolo (CSIC) stanno studiando i meccanismi di sopravvivenza delle piante nelle zone aride, dove le rocce gessose potrebbero fungere da nuova fonte d'acqua.

I suoli di gesso sono paesaggi poco apprezzati. A differenza di pittoresche foreste, praterie o montagne, questi territori offrono una vegetazione più limitata, distribuita in piccoli ciuffi di arbusti poco appariscenti, che ricordano più un deserto. Tuttavia, potrebbero custodire grandi scoperte.
Questo porta spesso a destinarle a zone industriali, discariche, piste da motocross e, più recentemente, impianti solari. Altre volte vi si piantano pini per migliorarne l’aspetto.
“Queste aree aride non sono paesaggi degradati, ma tesori di sostenibilità, con lezioni fondamentali per affrontare un mondo in cambiamento. È quindi importante valorizzarle e proteggerle”, afferma la scienziata del Centro de Investigaciones sobre Desertificación (CIDE, CSIC-UV-GVA).
L’arte di sopravvivere agli estremi
I suoli di gesso (solfato di calcio) sono rari rispetto ad altri tipi di suolo in Spagna, come quelli calcarei o argillosi. Si trovano solitamente in zone aride, come il deserto di Tabernas, in Almería, o il famoso deserto di Atacama, in Cile.
Questa scienziata dell’Istituto Pirenaico di Ecologia (IPE-CSIC) non capiva come alcune piccole piante dei gessi (gipsòfile), come la jara de escamillas (Helianthemum squamatum), fiorissero in piena estate senza acqua apparente. Dopo aver escluso ipotesi più evidenti come la pioggia, l’umidità della nebbia o le falde sotterranee, un’idea iniziò a prendere forza nella sua mente: e se le piante sfruttassero l’acqua contenuta nella struttura del gesso stesso?
Il segreto del gesso
Il gesso è una roccia particolare. Nel suo stato naturale può essere idratato, cioè contenere acqua nella sua rete cristallina, oppure disidratato. Alcuni cambiamenti nella sua idratazione avvengono a temperatura ambiente, il che fa sì che abitazioni – e persino binari ferroviari – costruiti su suoli di gesso si muovano leggermente in estate, quando il minerale si disidrata.
Questa caratteristica portò la ricercatrice a ipotizzare che piante con radici poco profonde come Helianthemum potessero utilizzare l’acqua presente nella struttura del minerale – l’acqua di cristallizzazione – per sopravvivere. Osservò che alcuni esemplari di jara de escamillas arrivavano addirittura a perforare le rocce di gesso per inserirvi le radici.

Per verificare questa ipotesi, Palacio ideò un esperimento che dimostrò che l’acqua di cristallizzazione trattenuta nella struttura interna della roccia era isotopicamente diversa dall’acqua piovana o di falda. In altre parole, era distinguibile dagli altri tipi di acqua.
Grazie a questa metodologia, Sara Palacio determinò che fino al 90% dell’acqua utilizzata dalla jara de escamillas in estate poteva provenire dall’acqua di cristallizzazione.
Si può davvero estrarre acqua dalle rocce?
Che una pianta potesse sfruttare l’acqua contenuta in una roccia – diversa dall’acqua libera o liquida – è stato un approccio innovativo. Nel gesso, quest’acqua può rappresentare fino al 20% della roccia.
In studi successivi, la ricercatrice Laura de la Puente – anche lei dell’IPE-CSIC – identificò circa 30 specie vegetali a radici superficiali che potrebbero sfruttare questa nuova fonte d’acqua. Scoprì inoltre che le radici rilasciavano acidi organici e riducevano il pH, modificando la composizione stessa del gesso.
“Le prove sembrano indicare che l’estrazione dell’acqua di cristallizzazione è un processo attivo della pianta, realizzato insieme a batteri, funghi e altri strumenti chimici di cui dispone”, spiega Sara Palacio.
L’unione fa la forza
Questa strategia non è l’unica adottata dalle piante per sopravvivere in ambienti aridi. Il team di Alicia Montesinos ha dimostrato che una delle chiavi per superare condizioni di stress ambientale elevato è la cooperazione tra specie, nota come facilitazione.
Ad esempio, alcune piante più resistenti, una volta stabilitesi in un’area, migliorano le condizioni ambientali sotto la loro chioma, offrendo ombra e umidità e permettendo così ad altre specie di vivere al loro fianco. Queste prime piante vengono chiamate “facilitatrici” o “nutrici”. Ma la collaborazione può essere anche molto più complessa.
La ricercatrice del CIDE (CSIC-UV-GVA) ha scoperto che le piante dei gessi redistribuiscono l’azoto disponibile alle loro vicine. Si tratta di una risorsa fondamentale, ad esempio, per la fioritura. All’inizio della primavera, le piante che fioriscono più tardi – come la jara de escamillas, che fiorisce in piena estate – trasferiscono più azoto a quelle che stanno già fiorendo. Così, in base ai ritmi di fioritura, si alternano scambiandosi le risorse disponibili.
Per dimostrare questa rete di collaborazione insospettata, Alicia Montesinos ha utilizzato isotopi stabili dell’azoto come traccianti, applicandoli alle piante dei gessi e identificando in seguito quegli stessi isotopi nelle piante vicine. Ha così dimostrato che una comunità vegetale più varia migliora la capacità di trattenere l’azoto prima che il suolo ne esaurisca la disponibilità.
“Nei luoghi più difficili, le piante trovano forza nella compagnia. I nutrienti vengono trasferiti a chi ne ha più bisogno in quel momento. Sono un po’ come le società con meno risorse, in cui emerge la cooperazione tra le persone”, riflette la ricercatrice Alicia Montesinos.
Il tesoro delle aree aride
Pur essendo necessari ulteriori studi su questi meccanismi di sopravvivenza, tutti ci invitano a cambiare sguardo sulle zone aride. Esse custodiscono veri segreti di resilienza, perché alcune grandi scoperte si nascondono dove di solito nessuno guarda.
Fonte e credito: Alejandro Muñoz / Contenuto realizzato nell’ambito del Programma di Aiuti CSIC – Fundación BBVA per la Comunicazione Scientifica, Bando 2023