Plutone avvolto nella nebbia: scoperta una foschia che ricorda l’atmosfera primordiale della Terra
Sebbene tenue, l’atmosfera di Plutone ospita una significativa foschia svelata dalle osservazioni di James Webb. Questa potrebbe essere simile e aiutarci a capire meglio quella che avvolgeva la Terra ai suoi albori.

Plutone (una volta classificato come nono pianeta del Sistema Solare) è da diversi anni classificato come pianeta nano, avendo caratteristiche più simili ad altri pianeti nani nella periferia del Sistema Solare, quali Cerere, Haumea, Makemake, Eris e Quaoa.
L’atmosfera di Plutone ha da sempre attirato l’attenzione degli astronomi. Infatti, nel corso degli anni sono state raccolte varie evidenze di un suo cambiamento. Purtroppo, a causa della grande distanza dalla Terra, non è stato mai possibile osservarlo distintamente dalla sua luna maggiore Caronte.

Per questo motivo, essendo osservati come un unico oggetto, non si capiva a chi dei due (o se a tutti e due) appartenessero le proprietà atmosferiche osservate.
Tra l'altro, in modo analogo a quanto avviene per le code delle comete, cambia anche lo spessore dell'atmosfera di questo pianeta nano, essendo maggiore quando Plutone è più vicino a Sole e quasi assente quando è più lontano (essendo la sua orbita fortemente ellittica).
Grazie all’elevato potere risolutivo del telescopio spaziale James Webb e alla sua sensibilità alla radiazione emessa nell’infrarosso, è stato possibile ottenere informazioni separate sia di Plutone che della sua luna.
Come è fatta la foschia scoperta nella sua atmosfera
La scoperta interessante fatta con il telescopio James Webb e recentemente presentata in un articolo pubblicato sulla rivista scientifica Nature Astronomy, da un team di scienziati guidati da Tanguy Bertram dell'Università di Parigi, è la presenza nell’atmosfera di questo pianeta nano di una significativa foschia la quale, per parafrasare con il caso terrestre, fa il buono ed il cattivo tempo sul pianeta.
A differenza del caso terrestre, la foschia di cui parliamo consiste in particelle organiche simili a quelle osservate nell’atmosfera di Titano (la più grande luna di Saturno), nonché di ghiacci di idrocarburi e nidrili.
Questa foschia gioca due ruoli opposti nel bilancio energetico dell’atmosfera di Plutone e, di conseguenza, sul suo clima.
Da un canto, questa foschia si comporta come gli aerosol, ad esempio, presenti nella nostra atmosfera. Essi riflettono la luce ultravioletta (UV) proveniente dal Sole. In questo modo, impedendo ai raggi UV di raggiungere la superficie e di riscaldarla, contribuiscono al raffreddamento del pianeta. Ricordiamoci che la temperatura superficiale si Plutone si aggira mediamente al di sotto dei -2000C.

Di contro, questa foschia assorbendo la luce UV del Sole si riscalda e cede parte della propria energia alle molecole dell’alta atmosfera, mettendole in condizione di sfuggire alla gravità del pianeta.
Si è scoperta una continua fuga di gas dal pianeta nano Plutone, principalmente di metano e molecole organiche, quantificata in circa 1.3 kg al secondo. Di questo gas circa il 25% viene catturato dalla sua luna Caronte, sulla cui superficie ghiacciata crea ulteriori composti che danno ai poli della luna una caratteristica colorazione rossastra.
Variando di parecchio la distanza di Plutone dal Sole durante la sua orbita, cambia anche la quantità di radiazione solare ricevuta e quindi anche l’effetto combinato di riscaldamento/raffreddamento con significative implicazioni sul clima e sulle stagioni del pianeta.
Come in numerose ricerche, lo studio in corso su Plutone non è solo fine alla maggiore comprensione di questo pianeta nano, ma permette di gettare luce sulla storia passata del clima terrestre. Infatti, ciò che oggi si osserva su Plutone potrebbe essere simile a quanto avvenuto sulla Terra primitiva prima della comparsa dell’ossigeno libero.
Riferimento allo studio
"Evidence of haze control of Pluto’s atmospheric heat balance from JWST/MIRI thermal light curves" Bertrand, T., Lellouch, E., Holler, B. et al.. Nat Astron (2025). https://doi.org/10.1038/s41550-025-02573-z