Uno studio sfida la visione classica dell’evoluzione dell’universo e afferma che le galassie rosse non sono morte

Ci sono ancora molti aspetti ignoti dell’universo e a volte può accadere che nuove scoperte mettano in discussione teorie che credevamo ormai assodate. È questo il caso delle galassie rosse.

Galassie
Secondo un recente studio anche le galassie rosse sono instancabili produttrici di stelle.

Ci sono ancora tantissimi misteri irrisolti nel nostro universo e a volte il progresso scientifico ci porta a mettere in discussione anche quegli aspetti che ritenevamo ormai assodati.

Un nuovo studio sta mettendo in dubbio la visione classica dell’evoluzione dell’universo affermando che le cosiddette galassie rosse non sono in realtà morte.

Innanzitutto cosa sono queste galassie rosse?

Gli astronomi definiscono galassie rosse, o spente, o quiescenti alcune galassie che appaiono appunto di colore rosso perché non ospitano più stelle blu, giovani e luminose, ma solo stelle ormai vecchie, piccole e tendenti al rosso.

In pratica quando queste galassie esauriscono il materiale per la formazione stellare, non potendo più dar vita a nuove stelle, restano popolate da stelle longeve destinate lentamente a morire.

Tuttavia secondo recenti ricerche alcune galassie rosse potrebbero in realtà continuare a formare stelle, in particolare stelle di piccola massa che anche in giovane età sono di colore rosso e rimangono di questa colorazione per tutta la loro esistenza.

Questa scoperta ha risvolti molto importanti, in quanto indica che l’evoluzione galattica potrebbe essere più complessa di quanto si pensasse.

Galassie rosse
Forse alcune galassie rosse non sono ormai morte, semplicemente formano stelle più piccole e di colore rosso.

Non solo, la portata di questa scoperta è ancora più ampia perché mette in discussione le tradizionali categorizzazioni astronomiche delle galassie.

Storicamente infatti c’è sempre stata la distinzione tra galassie blu, giovani e attivamente impegnate nella formazione stellare, oppure rosse, più vecchie e ormai incapaci di continuare a formare nuove stelle. Ora viene invece proposta una terza e nuova categoria: quella delle galassie rosse che però sono ancora in grado di formare stelle, una sorta di categoria intermedia tra le due storicamente riconosciute.

Se effettivamente esistesse questa terza categoria bisognerebbe rivalutare la nostra attuale comprensione dell’evoluzione galattica che potrebbe essere nel migliore dei casi incompleta, o addirittura fondamentalmente errata.

Ciò vorrebbe dire che nell’universo si sono formate più stelle di quanto stimato finora e che la maggior parte di esse si sia formata in condizioni diverse da quelle tradizionalmente ipotizzate.

Questa nuova struttura delle galassie apre la strada ad una nuova interpretazione delle galassie post-starburst, quelle galassie che dopo un breve periodo di intensa formazione stellare, smettono improvvisamente di produrre stelle.

Finora si è sempre pensato che questo particolare comportamento fosse dovuto al fatto che quando due galassie collidono producono una rapida esplosione di nuove stelle che però termina presto a causa dell’esaurimento dell’energia a loro disposizione.

I ricercatori si trovano di fronte ad una sfida

Con i dati attualmente in nostro possesso si apre la porta ad un’altra ipotesi, ovvero che queste galassie non abbiano sperimentato un’esplosione improvvisa ma una lenta e progressiva formazione di piccole stelle rosse.

La teoria sulle galassie rosse che formano stelle è recente e per essere confermata o meno necessiterà di ulteriori approfondimenti e di test molto avanzati. Sarà necessario ricercare ulteriori prove a sostegno dell’ipotesi che alcune galassie post-starburst appartengano effettivamente alla nuova categoria proposta.

Parte di queste nuove ricerche verranno effettuate utilizzando i dati del satellite Gaia dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) che permetteranno di studiare oltre due miliardi di stelle nella Via Lattea.

Riferimenti allo studio:

Charles L. Steinhardt, Do Red Galaxies Form More Stars than Blue Galaxies?, 2025 ApJ 982 189 DOI 10.3847/1538-4357/adb95b