Clima: che impatto ha una guerra sulle emissioni di CO2?

Le guerre hanno un grande impatto sulle emissioni di gas serra. La storia ci dà alcuni esempi. Alle emissioni belliche si aggiungano altre emissioni dirette e indirette. A rischio anche i negoziati sul clima e la prossima COP27?

Una squadriglia di bombardieri, questi aerei hanno consumi enormi e grandi emissioni, inoltre concorrono alla formazione di scie di condensazione. A queste emissioni si aggiungono gli incendi specie quando le bombe colpiscono depositi di carburanti.

Il conflitto in corso in Ucraina, scatenato dall’invasione dell’esercito russo, oltre agli aspetti umanitari e ambientali preoccupa anche per le ripercussioni sulla lotta ai cambiamenti climatici. Le ripercussioni possono estendersi anche sui negoziati del clima, a novembre la COP27 potrebbe vedere accentuarsi il divario e la discussione sugli impegni per l’applicazione dell’accordo di Parigi sul clima

Emissioni: gli effetti delle guerre mondiali

Nei trend delle emissioni globali della CO2 da combustibili fossili è ben visibile l’effetto delle due guerre mondiali. Ai tempi prima guerra mondiale le emissioni erano basse rispetto ad oggi, ma già se ne vide l’effetto. Nel 1914 le emissioni globali erano di 3.45 GtCO2 ( miliardi di tonnellate di CO2), nel 1915 calarono a 3.1 GtCO2, con un calo di circa il 10%. Restarono stabili invece le emissioni da deforestazione, attorno a 0.8 GtCO2. Già nel 1916 però le emissioni ripresero ad aumentare, tornando a livelli pre-guerra nel 1919 a 3.4 GtCO2. Il calo che si nota nel 1919, a 2.9 GtCO2 , fu dovuto soprattutto alla pandemia di influenza spagnola.

Diverso l’andamento durante la seconda guerra mondiale. Nei primi anni della guerra infatti, complice il boom dell’industria degli armamenti le emissioni proseguirono ad aumentare dai 4.7 GtCO2 del 1940 a 5.1 GtCO2 nel 1943. Dopo una lieve diminuzione nel 1944, il calo fu invece vistoso nel 1945, le emissioni scesero a 4.2 GtCO2. Seguì una rapida crescita nel dopoguerra, nel 1950 si arrivò già a 6 GtCO2. Oggi, lo ricordiamo, le emissioni da combustibili fossili sono già tornate a livelli di pre-pandemia, a circa 38 GtCO2.

Le emissioni dirette e indirette dei conflitti

Il discorso emissioni e guerre è assai complesso e articolato. Oltre alle emissioni belliche dovute ai mezzi in azione, difficili da quantificare, le infrastrutture per la produzione, lo stoccaggio o il trasporto di petrolio sono spesso oggetto di combattimenti. Di recente questo è successo nei conflitti in Colombia, Libia, Siria e Iraq dove le infrastrutture dei combustibili fossili sono state oggetto di attacchi con incendi e dispersioni che generano emissioni.

Nel 1991, durante la prima guerra del Golfo, è stato stimato che gli incendi petroliferi abbiano contribuito per oltre il 2% alle emissioni globali di CO2.

La distruzione di città ed edifici poi porta a grandi usi di energia e cemento, fonte di emissioni nella sua produzione, per la ricostruzione. Insomma, la riduzione delle emissioni del paese interessato dalla guerra è temporanea e seguita spesso da repentino aumento.

Deforestazione e altre emissioni

Le guerre interessano spesso zone boscose o foreste. L'uso di defoglianti chimici e di rimozione meccanica in Vietnam causò una del 14-44% della foreste in quelle zone. Di recente foreste sono state incendiate nel Nagorno-Karabakh, probabilmente per aiutare la guerra con i droni. In Crimea dai satelliti si osserva già un marcato degrado del suolo, causata in parte dallo sbarramento a monte dell'Ucraina del canale della Crimea settentrionale. Anche i soccorsi umanitari possono diventare fonti di emissioni serra aggiuntive. Ovviamente sono azioni necessarie, ma esse comportano uso di mezzi ed energia abbondanti, spesso con ricorso a generatori alimentati a gasolio o altri combustibili sporchi. I campi profughi possono anche rilasciare carbonio per la deforestazione e cambio uso del suolo.

A rischio i progressi di COP26?

Entrando nella situazione attuale con la guerra in Ucraina, i timori nell’approvvigionamento di gas dalla Russia stanno spingendo alcuni paesi, incluso l’Italia, a riaprire le centrali a carbone o a forme di gas ancora più impattanti, come il gas liquefatto, i gas di scisto e il fracking. Anche i prossimi negoziati potrebbero risentire pesantemente del clima di guerra. La COP27 in programma a Sharm el Sheick in Egitto per ora non è messa in discussione, ma già si vedono gli effetti della crisi in atto.

La Russia e anche la Bielorussia sono state espulse dall’Umbrella Group, il gruppo negoziale che comprende ora Australia, Canada, Islanda, Israele, Giappone, Nuova Zelanda, Kazakistan, Norvegia, Ucraina e Stati Uniti.

Inoltre l’Ucraina ha chiesto addirittura l’espulsione della Russia dall’UNFCCC, il segretariato della Convenzione sul clima. La richiesta è stata registrata dall’UNFCCC, ma difficilmente potrà essere accolta. Sono diversi infatti, sia attualmente che in passato, i paesi presenti al negoziato e impegnati in guerre o che attuano violazioni dei diritti umani.Ultim'ora poi, giunge la notizia che il negoziatore per il clima russo Anatoly Chubais si è dimesso per contrasti con Putin e sta lasciando il Paese.

Il Segretario Generale ONU Guterres ha espresso preoccupazione, definendo folle la strategia di cercare altri combustibili fossili, che pone a rischio l’obiettivo 1.5°C. “Invece di frenare la decarbonizzazione dell’economia globale, ora è il momento di dare il massimo verso un futuro di energia rinnovabile”.