Perché mettiamo la neve nel presepe? Cosa ci dicono le ricostruzioni climatiche degli inverni dell'epoca
Ogni anno, con l’avvicinarsi del Natale, milioni di famiglie italiane si preparano al rito del presepe, una delle tante tradizioni natalizie, tramandate di generazione in generazione.

Ogni anno, con l’avvicinarsi del Natale, milioni di famiglie italiane (e non solo) tirano fuori dall’armadio casette di sughero, muschio, statuine di pastori, oltre a grandi quantità di neve artificiale.
Il risultato è un paesaggio alpino in miniatura sotto la grotta di Betlemme, con sullo sfondo alberi innevati e case ricoperte di bianco. Ma Gesù è nato in Palestina, a circa 31° di latitudine nord, più o meno come Tangeri o Cipro.
La neve nel presepe è un’invenzione tutta europea, pure recente
In realtà la neve entra nel presepe per ragioni culturali e simboliche, e non storiche. Bisogna tornare indietro nel 1223, quando San Francesco d’Assisi, a Greccio, inventò il primo presepe vivente.
La sua rappresentazione era volutamente povera e realistica, con una mangiatoia, un bue, un asinello, e gente del posto. Ma in quel caso non parlò mai di neve. Andando un po’ più avanti nel tempo, i primi presepi artistici napoletani del Settecento erano ambientati in paesaggi mediterranei, caratterizzati da ulivi, fichi d’India, rovine romane, pastori con coppole e non berretti di lana.

La neve diventa un elemento fisso solo tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, soprattutto nel Centro-Nord Italia e in area alpina. È l’epoca in cui il presepe esce dalle chiese e dalle case nobiliari ed entra nelle famiglie borghesi e contadine delle regioni montane.
Il paesaggio che si conosceva era contraddistinto da abeti, larici, baite, neve. Così si è successivamente adattata Betlemme alle proprie montagne. Proprio da qui nasce l’usanza di mettere la neve nel presepe, trasformando il paesaggio della Palestina in un ambiente più simile a quello delle Alpi.
Ma poteva nevicare a Betlemme? Le ricostruzioni paleoclimatiche
Gli studi paleoclimatici degli ultimi 20 anni, basati su carotaggi di ghiaccio, anelli degli alberi, sedimenti del Mar Morto e del lago di Tiberiade, pollini fossili e documenti storici, ci danno un quadro piuttosto preciso.
Il clima della Giudea, fra I secolo a.C. e I secolo d.C., era parte del Periodo Romano Caldo (Roman Warm Period, ca. 250 a.C. – 400 d.C.), una fase climatica calda, con temperature medie invernali di 1-2 °C superiori a quelle del XX secolo, prima del riscaldamento globale.
Le precipitazioni erano concentrate in inverno, tra novembre e marzo, spesso sotto forma di pioggia intensa portata da fronti freddi provenienti dal Mediterraneo o da irruzioni di aria artica continentale dall’Europa orientale.
Riguardo la neve a Betlemme e Gerusalemme (800 metri di altezza) ci sono diversi eventi nevosi documentati, sia in epoca romana che bizantina, ma sempre come eventi straordinari.
Da altre più recenti ricostruzioni paleoclimatiche, inoltre è emerso che inverni molto freddi, con neve fino a bassa quota, si verificavano in media ogni 20-40 anni nell’area.

Insomma la notte di Natale del 6-4 a.C. avrebbe potuto teoricamente nevicare, ma la probabilità era bassissima (inferiore al 5-10 % se la buttiamo in una percentuale un po’ speculativa). Molto più probabile una notte fredda e umida, con temperatura intorno ai +4 °C e magari un po’ di pioggia.
Perché allora ci piace tanto la neve nel presepe?
Oltre a ragioni puramente geografiche ci sono motivazioni simboliche profonde, spesso poco considerate da chi prepara il presepe. Il bianco brillante della neve fresca, appena depositata al suolo, è simbolo di purezza, luce, nascita di qualcosa di nuovo.
Il freddo, invece, indica silenzio, raccoglimento, attorno alla notte santa. A ciò si somma pure la visione fra il gelo esterno e il calore della grotta, metafora dell’amore divino che scalda il mondo.
San Francesco d’Assisi stesso, nel Cantico delle Creature, parla del “frate vento… et sereno et ogni tempo”, ma anche della “sora nostra matre Terra” che sostiene e governa. La neve, nel Medioevo europeo, era percepita come un dono divino, non come un fastidio.