L’Italia fragile: il 70% dei comuni italiani è costantemente a rischio di frane, cause e misure di prevenzione
L'Italia è stretta tra un Mediterraneo che fornisce energia e rilievi che accelerano la corsa dell'acqua a valle, riducendo drasticamente i tempi di reazione dei fiumi. Analizziamo le cause che espongono il 70% dei comuni al rischio: cementificazione e clima amplifichino i danni.

L’Italia si trova in una posizione "scomoda": è una penisola montuosa immersa in un Mediterraneo che si sta scaldando a ritmi doppi rispetto agli oceani globali.
Questo surplus di calore si traduce in energia potenziale: quando in autunno arrivano le perturbazioni atlantiche, il mare agisce come una "benzina", fornendo quantità enormi di vapore acqueo.
Ma il vero innesco è la nostra orografia. Alpi e Appennini fungono da barriere fisiche che costringono l'aria umida a salire bruscamente di quota, condensando in spazi ristretti. Se a questo aggiungiamo vallate strette e un consumo di suolo che ha ridotto le aree di espansione naturale, otteniamo la ricetta perfetta per il rischio idrogeologico.
La dinamica dei temporali "autorigeneranti"
Non è solo questione di quanta pioggia cade, ma di come cade. Il nemico numero uno è la stazionarietà.
Questi sistemi pescano energia dal mare e la scaricano contro i rilievi senza spostarsi. Il risultato? Cadono in 4 ore i millimetri (litri per m2) previsti in 4 mesi. I terreni, specie se secchi o cementificati, non infiltrano l'acqua, che scivola via superficialmente trasformando le strade in torrenti in pochi minuti.
Liguria e Alta Toscana: il regno delle "alluvioni lampo"
Qui il rischio è la velocità. Con l'Appennino a picco sul mare, i bacini sono cortissimi. Quando si attiva la convergenza tra Tramontana (fredda) e Scirocco (caldo), si generano celle temporalesche esplosive. L'acqua non ha tempo di essere assorbita: arriva a valle in ondate improvvise. La sfida qui non è solo l'argine, ma la gestione dei rii tombati che esplodono sotto la pressione idraulica urbana.

Campania e Sud: la fragilità dei suoli vulcanici
Oltre all'acqua, qui preoccupa il fango. I suoli piroclastici della Campania, ad esempio, sono leggerissimi: se saturi d'acqua, si liquefano trasformandosi in "colate rapide" devastanti (Sarno 1998, Ischia 2022).
Al Sud, i cicloni mediterranei possono scaricare piogge torrenziali su fiumare solitamente secche, che la popolazione percepisce erroneamente come strade o parcheggi, venendo colta di sorpresa dalla piena.
Friuli Venezia Giulia: l'effetto stau
Le Prealpi Giulie sono la "porta" delle correnti orientali. L'effetto stau (sollevamento orografico) qui è da manuale: l'aria umida impatta sulle montagne e viene strizzata come una spugna. I bacini di Tagliamento e Isonzo devono gestire volumi enormi. Il rischio è spesso legato alla tenuta delle opere idrauliche a valle, quando a monte piove ininterrottamente per giorni.
Emilia-Romagna: la crisi del reticolo di pianura
Nel maggio 2023 abbiamo imparato che il rischio non è solo "montano". In Romagna l'Appennino ha convogliato l'acqua verso una pianura bonificata e arginata che non riusciva più a scolare verso il mare (anche per via del vento contrario).
Qui il problema è la saturazione: fiumi pensili che corrono sopra il livello della campagna e una rete di scolo incapace di gestire eventi lunghi e persistenti.
Oltre l'emergenza: cosa serve davvero?
Sfatiamo un mito: pulire i fiumi dai tronchi è doveroso, ma non basta. Abbiamo rettificato troppi corsi d'acqua, aumentandone la velocità. La vera sicurezza passa per la restituzione di spazio: aree di laminazione controllata (dove l'acqua può esondare senza danni) e il ripristino delle curve naturali dei fiumi per rallentare la corrente.
Città Spugna e Invarianza Idraulica
Nelle città non possiamo più limitarci a intubare l'acqua. Serve l'invarianza idraulica. Ogni nuova costruzione deve trattenere la propria acqua piovana e rilasciarla lentamente, senza gravare sulla rete pubblica.

Tetti verdi, pavimentazioni drenanti e vasche sotterranee devono trasformare le città da superfici impermeabili in "spugne", capaci di assorbire le grandi quantità di acqua che possono cadere in spazi temporali molto ristretti.
La cultura del rischio residuo
Purtroppo dobbiamo accettare una verità scomoda: il "rischio zero" non esiste. Le opere di difesa (argini, scolmatori) proteggono fino a una certa soglia, oltre la quale possono fallire.
Conoscere il Piano di Protezione Civile del proprio comune, sapere se si vive in zona allagabile e capire che durante un'allerta arancione o rossa la normalità va sospesa, sono le uniche vere "opere" che possiamo costruire già da subito.