Alluvioni, l'Emilia-Romagna è nel “cul-de-sac” per colpa del clima che cambia: lo affermano i climatologi
Uno studio firmato da Scoccimarro et al. (CMCC e CNR) afferma che l’Emilia Romagna è tra le regioni più vulnerabili del Mediterraneo agli eventi di pioggia persistente. La causa nella circolazione meteorologica a vicolo cieco e nell’aumento di persistenza dei cicloni mediterraneo. Ecco tutti i dettagli.

L’Emilia Romagna è stata una delle regioni più colpita da eventi estremi ed alluvioni negli ultimi anni. Fu colpita da due alluvioni nel maggio 2023, il 2-23 e quindi il 16-17 maggio, poi ben tre altri eventi estremi colpirono circa le stesse zone appena un anno dopo, a giugno, settembre e ottobre 2024. A questi eventi si aggiungono temporali violenti come il tornado di Alfonsine del 23 luglio 2023 e il bow echo a Cervia Milano Marittima del 23-24 agosto 2025.
Finora molti scienziati affermavano che non ci sarebbero sufficienti evidenze statistiche di un aumento di eventi estremi, ora alla luce del ripetersi di questi eventi arrivano approfondimenti e conferme sulle cause e sulla connessione coi cambiamenti climatici di questi eventi.
L’alluvione del 2023: il caso di studio sul cu-de-sac
Ad analizzare in dettaglio i due eventi alluvionali in Romagna del maggio del 2023 è uno studio pubblicato su Scientific Report, una prestigiosa rivista scientifica peer-reviewed, del gruppo Nature. Primo autore è il ricercatore Enrico Scoccimarro del CMCC, Centro Euromediterraneo sui cambiamenti climatici, insieme ad altri scienziati sempre del CMCC nonché dell’ Istituto di Bioeconomia del CNR. Il titolo è curioso, in italiano:
Secondo l’analisi degli scienziati, gli eventi del maggio 2023 sono stati caratterizzati da due fasi piovose principali (1–3 e 15–17 maggio). L’eccezionalità non fu dovuta a piogge brevi ma estreme temporalesche, ma a precipitazioni moderate e persistenti dovute a un ciclone quasi stazionario sul centro Italia.
I venti di scirocco incanalarono, complice un fiume atmosferico, aria umida dall’Adriatico verso la pianura emiliana, quindi l’Appennino fece da barriera orografica, favorendo la condensazione e il sollevamento dell’aria.
Il risultato fu un accumulo pluviometrico senza precedenti, con tempi di ritorno superiori ai 500 anni in alcune località, senza che si verificassero valori estremi orari di precipitazione.
Il “cul-de-sac effect”: un nome nuovo per un meccanismo noto
Il termine cul-de-sac (letteralmente “vicolo cieco”) rende l’idea di come la configurazione geografica chiusa della Pianura Padana orientale interagisce coi flussi sciroccali. L’area infatti risulta chiusa da alte montagne a nord e a ovest per le Alpi e a sud per l’Appenino. Unica zona aperta ai flussi è proprio la costa Adriatica, da cui sono entrate le correnti sciroccali cicloniche.
In presenza di una depressione stazionaria sul Mar Tirreno di forma chiusa, l’umidità entra da sud-est e resta intrappolata dall’orografia, scaricando grandi quantità di pioggia continua.
È, in sostanza, la classica situazione del “ciclone tirrenico piovoso”, o nevoso se fosse inverno e con aria fredda. Questo pattern circolatorio è noto ai meteorologi italiani fin dagli anni ’80–’90 e ben descritto in vari convegni e articoli.
La novità dello studio non è nella dinamica, ma nel linguaggio adottato, inusuale in una pubblicazione scientifica, ma soprattutto nel quadro climatico con cui viene reinterpretata.
Il valore aggiunto dello studio
Pur non introducendo un nuovo meccanismo meteorologico, il lavoro apporta alcuni elementi interessanti. Anzitutto un linguaggio comunicativo efficace: il termine “cul-de-sac”, usato anche in giornalismo per indicare condizioni in cui si è in un vicolo cieco, in una strada senza uscita, rende intuitiva, anche per non addetti ai lavori, la vulnerabilità geografica della regione.

Poi la quantificazione climatologica dell’evento. Gli autori introducono l’indice CDP (Cyclone Density Persistence), che combina frequenza e durata dei cicloni nel Mediterraneo basandosi su un dataset delle reanalisi ECMWF ERA 5 sul periodo 1979–2020. I risultati dimostrano per la prima volta un aumento dei cicloni stazionari o lenti nel Tirreno, Ionio e Adriatico, coerente con un clima e un mar Mediterraneo più caldo.
Il collegamento con il cambiamento climatico diventa così finalmente chiaro. Lo studio evidenzia come l’aumento della temperatura del mare e dell’umidità atmosferica può rendere più frequenti gli eventi “lenti ma devastanti”, tipici della nuova normalità fatta di eventi estremi anche nel mediterraneo.
L’effetto cul-de-sac non è esclusivo dell’Emilia Romagna, ma si verifica anche in altre zone del Mediterraneo, come Albania e coste balcaniche, Spagna orientale inclusa Valencia, Provenza e Occitania in Francia,
Difendersi dal Cul de Sac
L’introduzione del l’indice CDP, l’indice di densità e persistenza dei cicloni, invece è una novità importante e potrebbe diventare un parametro da introdurre nelle previsioni stagionali e substagionali.
Il primo autore dott. Scoccimarro infatti ha puntualizzato ai media che sulla base di questo studio si potranno costruire sistemi di allerta stagionali, basati anche sull’intelligenza artificiale, che permettano di anticipare eventi di precipitazione estrema, consentendo alle comunità di prepararsi meglio ai rischi di alluvione
riferimento notizia:
Scoccimarro, E., Borrelli, A., Sangelantoni, L. et al. A cul-de-sac effect makes Emilia-Romagna more prone to floods in a changing climate. Sci Rep 15, 36823 (2025). https://doi.org/10.1038/s41598-025-24486-7