Cosa sappiamo oggi su quello che avviene dopo la morte? Ecco le risposte dalla letteratura scientifica
Il cosa succede dopo la morte è stato fin da sempre dibattuto da filosofi, scienziati e religiosi. Oggi proviamo a vedere cosa riesce a spiegarci la scienza.

La questione di cosa accada dopo la morte è da sempre al centro di dibattiti filosofici, religiosi e scientifici. Scientificamente parlando con il termine morte si intende la cessazione irreversibile delle funzioni vitali, in particolare dell’attività cerebrale, cardiovascolare e respiratoria.
Tuttavia gli studi scientifici si concentrano principalmente sui fenomeni biologici, neurologici e psicologici che accompagnano o seguono il momento della morte, senza poter fornire risposte definitive su un’eventuale esistenza post-mortem.
La morte biologica
La morte, dal punto di vista medico, avviene quando il corpo non è più in grado di mantenere l’omeostasi. Per convenzione la morte cerebrale si ha in seguito alla perdita irreversibile di tutte le funzioni del cervello, inclusa la capacità di regolare funzioni autonome come la respirazione.
Una volta che il cuore si ferma (arresto cardiaco), il flusso di ossigeno al cervello si interrompe. Entro 4-6 minuti, in assenza di rianimazione, i danni cerebrali diventano irreversibili.

Tuttavia, recenti studi, come quelli condotti dal team del Dr. Sam Parnia (Resuscitation, 2014), hanno dimostrato che alcune funzioni cellulari possono persistere per più minuti, o addirittura ore dopo la morte clinica, specialmente in condizioni di ipotermia.
Questo fenomeno, chiamato “stato di animazione sospesa”, suggerisce che la linea tra vita e morte possa essere più sfumata di quanto si pensasse. Anzi probabilmente ci sono dei passaggi che non conosciamo, ancora inesplorati.
Le esperienze di pre-morte
Le esperienze di pre-morte sono tra i fenomeni più studiati in relazione alla morte. Si tratta di esperienze riportate da persone che hanno vissuto un arresto cardiaco o una condizione vicina alla morte, descrivendo spesso sensazioni come il distacco dal corpo, la visione di un tunnel di luce o incontri con entità.
Dal punto di vista scientifico c’è una spiegazione. Le esperienze pre-morte potrebbero essere associate a mancanza di ossigeno che può causare allucinazioni visive e un senso di euforia, come dimostrato in studi su piloti sottoposti a simulazioni di ipossia (Journal of Neurology, 1994).
Pero su questo non tutti gli scienziati sono concordi. Alcuni ricercatori, come il neuropsichiatra Peter Fenwick, sostengono che non tutte le esperienze possano essere pienamente spiegate da meccanismi biologici, soprattutto nei casi in cui i pazienti riportano dettagli verificabili di eventi avvenuti durante l’incoscienza.
Gli ultimi studi sulle esperienze di pre-morte
Molti pazienti che hanno vissuto in prima persona esperienze di pre-morte raccontano, anche con una certa lucidità, di visioni di tunnel, luci brillanti, sensazioni di pace e esperienze extracorporee.
Uno studio fondamentale è stato condotto dal cardiologo olandese Pim van Lommel, pubblicato nel 2001 su The Lancet ("Near-death experience in survivors of cardiac arrest: a prospective study in the Netherlands"). Su 344 pazienti sopravvissuti a un arresto cardiaco, il 18% ha riportato esperienze di pre-morte.

Alcuni descrivevano dettagli precisi dell’ambiente ospedaliero, come conversazioni o azioni dei medici, avvenute mentre erano clinicamente privi di attività cerebrale. Van Lommel ha ipotizzato che la coscienza potrebbe non essere interamente dipendente dal cervello, suggerendo una possibile natura “non locale”.
Tuttavia, lo studio non dimostra la persistenza della coscienza dopo la morte, ma piuttosto che le esperienze di pre-morte sono fenomeni complessi che richiedono ulteriori indagini.
Un caso eclatante riguardava un paziente che descrisse dettagli visivi e uditivi accurati dell’ambiente ospedaliero, nonostante l’assenza di attività cerebrale rilevabile. Questo episodio stupì gli stessi ricercatori.
Alcuni fenomeni analoghi, e studi su esperienze simili di altri pazienti, hanno messo in discussione questa visione, suggerendo che la coscienza potrebbe, in certi casi, manifestarsi in modi che sfidano le spiegazioni materialistiche.
Esiste una coscienza dopo la morte?
La possibilità che la coscienza persista dopo la morte è una delle domande più affascinanti e speculative.
Diversi studi hanno cercato di indagare se la coscienza possa rimanere attiva dopo la morte clinica. I risultati preliminari (Resuscitation, 2014) non hanno fornito prove conclusive, ma hanno documentato casi in cui pazienti rianimati hanno riportato percezioni coerenti di eventi accaduti durante l’arresto cardiaco, nonostante l’assenza di attività cerebrale.

Dal punto di vista della neuroscienza, la coscienza è strettamente legata all’attività del cervello. Secondo il modello della “coscienza integrata” di Giulio Tononi (Nature Reviews Neuroscience, 2008), la coscienza richiede un’integrazione complessa di informazioni neurali, che cessa con la morte cerebrale.
Il decadimento post-mortem
Dopo la morte, il corpo umano subisce una serie di processi biologici ben documentati. La decomposizione inizia entro poche ore, guidata da batteri e enzimi che scompongono i tessuti.
Studi di tanatologia, la scienza che si occupa di studiare la morte in tutte le sue dimensioni, come quelli pubblicati su Forensic Science International (2010), descrivono fasi come l’irrigidimento muscolare, il raffreddamento del corpo e la putrefazione. Questi processi sono puramente fisici e non suggeriscono alcuna forma di consapevolezza o attività vitale.
Va detto che la letteratura scientifica si limita a studiare i fenomeni biologici e psicologici associati alla morte, senza confermare né smentire credenze religiose o spirituali. Come sottolineato dal filosofo Daniel Dennett (Consciousness Explained, 1991), la nostra comprensione della coscienza è ancora incompleta, il che rende difficile trarre conclusioni definitive.