Esiste davvero una coscienza dopo la morte? I primi studi con l'aiuto della fisica quantistica svelano che è possibile

Sono diversi gli scienziati che stanno affrontando questo tipo di studi seguendo il metodo scientifico. La chiave di lettura viene proprio dalla fisica quantistica.

Studi sulla coscienza dopo la morte.
Dal punto di vista scientifico, la coscienza è generalmente considerata un prodotto dell’attività cerebrale.

La questione della persistenza della coscienza dopo la morte è una delle più affascinanti e controverse che l’umanità abbia mai affrontato. Si tratta di un argomento che intreccia scienza, filosofia e spiritualità, suscitando dibattiti accesi tra ricercatori, pensatori e credenti.

Negli ultimi decenni si sono effettuati vari studi scientifici che hanno indagato la possibilità di una coscienza post-mortem, analizzando i loro risultati, limiti e implicazioni.

La coscienza esiste dopo la morte?

Dal punto di vista scientifico, la coscienza è generalmente considerata un prodotto dell’attività cerebrale. La morte cerebrale, definita come la cessazione irreversibile delle funzioni del tronco encefalico, è tradizionalmente vista come la fine della coscienza.

Tuttavia, alcuni fenomeni e studi hanno messo in discussione questa visione, suggerendo che la coscienza potrebbe, in certi casi, manifestarsi in modi che sfidano le spiegazioni materialistiche.

I principali filoni di ricerca si concentrano sulle esperienze di pre-morte (NDE, Near-Death Experiences) e su teorie che collegano la coscienza a processi quantistici.

Esperienze di pre-morte, una finestra sulla coscienza?

Le esperienze di pre-morte sono state riportate da individui che hanno vissuto un arresto cardiaco o situazioni di morte clinica, ma che sono stati successivamente rianimati. Queste esperienze includono spesso visioni di tunnel, luci brillanti, sensazioni di pace o esperienze extracorporee (OBE), in cui i pazienti affermano di aver osservato il proprio corpo o l’ambiente dall’esterno.

Morte.
Van Lommel ha ipotizzato che la coscienza potrebbe non essere interamente dipendente dal cervello, suggerendo una possibile natura “non locale”.

Uno studio fondamentale è stato condotto dal cardiologo olandese Pim Van Lommel, pubblicato nel 2001 su The Lancet "Near-death experience in survivors of cardiac arrest: a prospective study in the Netherlands".

Su 344 pazienti sopravvissuti a un arresto cardiaco, il 18% ha riportato esperienze di pre-morte. Alcuni descrivevano dettagli precisi dell’ambiente ospedaliero, come conversazioni o azioni dei medici, avvenute mentre erano clinicamente privi di attività cerebrale.

Van Lommel ha ipotizzato che la coscienza potrebbe non essere interamente dipendente dal cervello, suggerendo una possibile natura “non locale”. Tuttavia, lo studio non dimostra la persistenza della coscienza dopo la morte, ma piuttosto che queste esperienze sono fenomeni molto complessi che richiedono ulteriori indagini.

Gli studi di Sam Parnia

Un altro contributo significativo viene dal progetto AWARE (AWAreness during Resuscitation), guidato da Sam Parnia. Pubblicato nel 2014 su Resuscitation, lo studio ha analizzato pazienti rianimati dopo un arresto cardiaco, rilevando che circa il 2% riportava esperienze coscienti durante il periodo di morte clinica.

Un caso eclatante riguardava un paziente che descrisse dettagli visivi e uditivi accurati dell’ambiente ospedaliero, nonostante l’assenza di attività cerebrale rilevabile. In questo studio i ricercatori hanno cercato di verificare queste esperienze utilizzando immagini nascoste visibili solo dall’alto, ma i risultati preliminari non hanno fornito conferme definitive di percezioni oggettive.

Nonostante il fascino di questi studi, la comunità scientifica rimane scettica. Critici come Susan Blackmore (Frontiers in Psychology, 2018) sostengono che le esperienze di pre-morte possono essere spiegate da meccanismi neurofisiologici, come l’anossia cerebrale, il rilascio di endorfine o l’iperattività della corteccia prefrontale e del lobo temporale.

Inoltre, la distorsione temporale percepita in stati di stress estremo potrebbe far sembrare che le esperienze avvengano durante la morte, quando in realtà si verificano durante la rianimazione.

La teoria di una sopracoscienza secondo Manuel Sans Segarra

Manuel Sans Segarra, noto chirurgo spagnolo ed ex primario di Chirurgia Digestiva, ha dedicato oltre vent’anni allo studio scientifico delle esperienze di premorte, che lo hanno spinto a esplorare il confine tra vita e morte.

Coscienza dopo la morte.
La morte cerebrale, definita come la cessazione irreversibile delle funzioni del tronco encefalico, è tradizionalmente vista come la fine della coscienza.

Nel suo libro La Sopracoscienza esiste - La vita oltre la vita, Sans Segarra introduce il concetto di sopracoscienza, una forma di coscienza non locale che trascende il corpo fisico e non è limitata da spazio e tempo, come li conosciamo noi.

Le sue ricerche, iniziate dopo aver assistito a un caso di esperienza di pre-morte in pronto soccorso, si fondano sulla fisica quantistica per spiegare fenomeni come visioni extracorporee, tunnel di luce e incontri con defunti, elementi ricorrenti nelle testimonianze di chi ha vissuto la morte clinica.

Sans Segarra unisce rigore scientifico e apertura spirituale, cercando di dimostrare che la morte non rappresenta la fine, ma una trasformazione verso un’altra dimensione dell’esistenza. Le sue idee hanno attirato l’attenzione di figure di spicco come Papa Francesco e il Dalai Lama, con cui ha discusso il legame tra scienza e spiritualità.

Il suo lavoro invita a riconsiderare il mistero della vita oltre la morte, proponendo una visione in cui la coscienza sopravvive, offrendo nuove prospettive su uno dei grandi interrogativi dell’umanità.