La disastrosa eruzione del 1669, quando l'Etna cambiò il volto di Catania senza causare vittime

Quella del 1669 è stata una delle eruzioni più violente dell’Etna negli ultimi secoli. La sua intensità fu tale da condizionare per sempre il territorio attorno la città di Catania, influendo pure le locali attività produttive e l’economia.

Quella del 1669 è stata una delle eruzioni più violente dell’Etna negli ultimi secoli. La sua intensità fu tale da condizionare per sempre il territorio attorno la città di Catania.

Quella del 1669 è stata una delle eruzioni più violente dell’Etna negli ultimi secoli. La sua intensità fu tale da condizionare per sempre il territorio attorno la città di Catania, influendo pure le locali attività produttive e l’economia.

Inoltre per i vulcanologi la terribile eruzione del 1669 fu un evento così estremo, da modificare radicalmente il comportamento e lo stile eruttivo dell’Etna nei secoli successivi. Il tutto fu anticipato da una intensa attività sismica, lungo le pendici del vulcano, nel mese di febbraio.

L’intensa attività sismica culminò nel forte terremoto che fra il 10 e l’11 marzo 1669 distrusse il centro abitato di Nicolosi. Alle ore 16:30 circa dell’11 marzo si aprì una serie di fessure eruttive, orientate NNO-SSE, che si svilupparono da una quota di circa 950 m sul versante meridionale.

L’inizio dell’intensa attività esplosiva

Da questa fenditura partì l’intensa attività esplosiva che produsse una gigantesca colonna eruttiva, capace di lasciare un deposito piroclastico di lapilli talmente spesso e pesante da provocare il crollo dei tetti di numerose case dei paesi di Pedara, Trecastagni e Viagrande.

La cenere prodotta dall’eruzione, a seconda dei venti dominanti in questo lungo periodo, andò ad interessare una vasta area fino a raggiungere la Calabria e la Sicilia sud-orientale, inclusa Messina.

L’eruzione durò quattro mesi. Secondo uno studio in questo periodo furono eruttati circa 600 milioni di m3 di lava, con un tasso effusivo medio alla bocca di 58 metri cubi al secondo che sono tra i valori più alti registrati negli ultimi 400 anni.

Etna
L’eruzione durò quattro mesi. Secondo uno studio in questo periodo furono eruttati circa 600 milioni di m3 di lava, con un tasso effusivo medio alla bocca di 58 metri cubi al secondo che sono tra i valori più alti registrati negli ultimi 400 anni.

Si formò un vastissimo campo lavico caratterizzato da un’area di 40 km2 e una lunghezza massima di 17 km; si tratta della colata lavica più lunga riconosciuta nel record geologico dell’Etna degli ultimi 15.000 anni.

I paesi coinvolti dalla colata lavica

Il 14 marzo il braccio lavico più occidentale raggiunse i paesi di San Pietro e Camporotondo. Fra il 15 e il 17 marzo si formò un nuovo braccio diretto verso sud-est, mentre il braccio orientale arrivò presso il paese di San Giovanni Galermo, distruggendolo parzialmente.

Al contempo un nuovo braccio lavico, in scorrimento verso sud-est, avanzava verso il centro di Misterbianco, causando anche qui danni. Nelle settimane successive si formarono nuovi fronti lavici, che avanzarono in direzione della città di Catania.

Il 30 aprile la colata lavica raggiunsé la città, provocando il crollo di un tratto delle mura tra il bastione degli Infetti e del Tindaro. Quel tragico giorno la colata entrò in città, avanzando lentamente verso il monastero di San Nicolò l’Arena.

Per Catania e i catanesi quelli furono momenti veramente drammatici. La lava avanzò in pieno centro, nonostante vari tentativi di deviare la colata lavica, ma furono vani. In quelle terribili giornate il vicario generale Stefano Riggio e i membri del senato catanese provarono a costruire delle barriere, composte da pietre a secco, per cercare di rallentare l’avanzata del fronte lavico.

Solo l’8 maggio 1669 la colata lavica si fermò, dopo aver distrutto numerose case, palazzi e chiese, nel cuore di Catania. Nella parte sud della città, in realtà, i flussi lavici continuarono a scorrere, fino a riversarsi nel fossato del Castello Ursino.

Buona parte del flusso di lava poi traboccò a mare, ampliando la linea di costa per oltre 800 metri in alcuni punti, cambiando per sempre l’aspetto morfologico.

Da “città bianca” a “città nera”

Secondo lo storico Giuseppe Giarrizzo, Catania prima del 1669 era una “città bianca” grazie alla ricchezza delle acque superficiali dell’Amenano, un reticolo di canali alimentati da diverse sorgenti locali. E proprio nel settore meridionale della città, la colata lavica seppellì questi canali, tagliando ogni approvvigionamento idrico dell’epoca.

Nonostante l’eruzione di portata distruttiva non si registrarono vittime fra la popolazione catanese.

Da quel momento, con la scomparsa di questa rete di acque superficiali, Catania si trasformò da “città bianca” a “città nera”, con i resti della colata lavica a farla da padrona. L’eruzione non si limitò solo al cambiamento del reticolo idrografico, poiché modificò radicalmente anche il paesaggio circostante, isolando Catania dai fertili terreni della piana.

La fine dell’eruzione

L’eruzione si concluse l’11 luglio 1669, dopo quattro mesi di intensa attività sia esplosiva che effusiva, riscrivendo la storia del territorio della città di Catania e rappresentando un evento estremo nella storia eruttiva dell’Etna per quanto riguarda gli aspetti vulcanologici, l’impatto sulla popolazione e sul tessuto urbano.

Alla fine dell’eruzione del 1669 si fecero i conti dei danni ma non quello dei morti. Nonostante l’eruzione di portata distruttiva non si registrarono vittime fra la popolazione catanese. La risposta all’emergenza vulcanica, da parte delle autorità locali e della popolazione, fu immediata, tanto da permettere di realizzare le prime importanti infrastrutture a difesa della città, in caso di eventuali nuove eruzioni. Quell’evento insegnò ai catanesi a saper convivere con il vulcano.