Le città fanno piovere (più forte): urbanizzazione, nubifragi e alluvioni lampo

Quando un temporale scarica in pochi minuti l’acqua di giorni (o settimane) su una città, non è solo “sfortuna meteo”. Le aree urbane possono modificare il tempo locale: non “inventano” la pioggia dal nulla, ma in certe condizioni la favoriscono, la concentrano e la spostano.

In un mondo più caldo e più cementificato, le piogge brevi e violente stanno diventando più frequenti e probabili. Capire perché le città amplificano il rischio di nubifragi e allagamenti lampo è una parte essenziale della progettazione urbana del futuro.

Le città come “moltiplicatori” della pioggia

Partiamo con un’idea ormai acclarata: una città è un enorme “modificatore di superficie”. Sostituisce suolo e vegetazione con materiali che scaldano di più, evapotranspirano poco o per niente, cambiano il flusso d'aria, del vento tra gli edifici e producono molto aerosol.

Questo non significa che “Milano produca dal nulla dei cumulonembi”. Significa che l’atmosfera, quando le condizioni meteo sono già favorevoli alla formazione di temporali (aria calda, umida ed instabile), la città può dare una spinta in più, anticipare l’innesco, organizzare le correnti ascensionali, e spesso far “esplodere” dei rovesci intensi sulla città o sottovento.

In letteratura si parla anche di “urban wet island”, cioè “isola umida urbana”. In uno studio globale su 1.056 città (dati 2001–2020) oltre il 60% mostra precipitazioni maggiori nell'area urbana e/o sottovento rispetto alle aree rurali vicine, con una tendenza ad aumento di questa divergenza.

Isola di calore urbana: più calore, più moti ascensionali

La causa principale è l’isola di calore urbana (UHI, Urban Heat Island). Superfici come asfalto, tetti e pareti si scaldano e rilasciano energia in modo diverso da prati e boschi, rendendo la città spesso più calda di 1–3 °C (a volte di più, soprattutto tra sera e notte).

Quest’aria più calda è più leggera e tende a salire. Si forma una sorta di “bolla” calda sopra l’area urbana, possono aumentare i moti convettivi e, con l'instabilità in quota e l'umidità nei bassi strati, possono svilupparsi nubi temporalesche.

L’UHI non “crea” il temporale da sola. È un innesco/acceleratore: che la potenzia, senza umidità e instabilità, non succede nulla.

Non solo calore: vento “deviato”, aerosol e (a volte) coste

Oltre alla temperatura, contano altri fattori urbani. C'è la “rugosità” degli edifici, che frena e devia il vento creando convergenze locali e favorendo la risalita dell’aria. Poi ci sono gli aerosol, le particelle emesse in città che agiscono da nuclei di condensazione e possono modificare numero e dimensione delle gocce nelle nubi, influenzando l’evoluzione delle precipitazioni (meccanismo riconosciuto dalla ricerca).

C'è la “rugosità” degli edifici, che frena e devia il vento creando convergenze locali e favorendo la risalita dell’aria.

L’effetto “sottovento”, invece, fa sì che i massimi di pioggia spesso non cadano sul centro urbano, ma a valle del vento dominante. Infatti la città rende l’aria più calda e turbolenta, poi il flusso la trasporta dove la convezione arriva a maturazione.

In certe giornate stabili e poco ventose può instaurarsi una piccola circolazione locale che alcuni descrivono come “brezza urbana”: aria che tende a convergere verso la zona più calda.

Piogge più brevi e intense: perché il riscaldamento globale alza l’asticella

Un’atmosfera più calda può contenere più vapore acqueo. In media, vicino al suolo, si parla di circa +7% di contenuto di vapore per ogni +1 °C (Clausius-Clapeyron).

Quando inizia un temporale, il “serbatoio” potenziale di acqua disponibile è maggiore. Non significa che pioverà sempre di più, ma che gli estremi hanno già una base fisica per intensificarsi.

Anche quote non enormi di "suolo sigillato" possono aumentare molto (anche raddoppiare) il deflusso

Gli eventi che fanno più danni in città sono spesso quelli più brevi (da decine di minuti a poche ore). Concentrano molto volume, una grande massa d'acqua in pochissimo tempo, proprio dove il sistema urbano fatica a smaltire.

Molto cemento con scarso drenaggio = "alluvioni lampo"

In campagna una parte della pioggia infiltra nel suolo, una parte evapora e il resto defluisce più lentamente. In città, invece, le superfici impermeabili trasformano rapidamente la pioggia in ruscellamento che corre verso tombini e canali, concentrandosi in fretta nei punti più bassi: anche quote non enormi di suolo sigillato possono aumentare molto (anche raddoppiare) il deflusso.

In più, molte reti di drenaggio sono state progettate su statistiche “storiche” che assumevano un clima stabile: oggi servono curve di progetto aggiornate (IDF/DDF) considerando non-stazionarietà e scenari futuri.

Bastano 30–60 minuti di temporale intenso per allagare sottopassi, garage e piani interrati. Questo succede anche quando la pioggia totale giornaliera non è eccezionale.

Città spugna: dallo “scudo” all’assorbimento

Sempre più città stanno passando dall’idea di “liberarsi dall’acqua il più in fretta possibile” a quella di trattenerla e gestirla dove cade. È il concetto di sponge city (città spugna) e dei sistemi di drenaggio urbano sostenibile (SuDS/SUDS): rallentare, infiltrare, accumulare e, quando si può, riutilizzare l’acqua piovana.

Significa utilizzare pavimentazioni drenanti (parcheggi e marciapiedi), rain gardens/bioswales (aiuole che raccolgono e filtrano l’acqua), tetti verdi o blu-verdi (che trattengono e rilasciano lentamente la pioggia) e bacini di laminazione/aree di espansione (spazio controllato ceduto all’acqua nei momenti critici).

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Queste misure non riducono solo gli allagamenti, ma migliorano la qualità dell’acqua, rinfrescano l’ambiente urbano e rendono gli spazi pubblici più vivibili.