Cosa significa che la cometa interstellare 3I/ATLAS contiene acqua? Gli scienziati lo spiegano

Grazie all’utilizzo del telescopio spaziale Swift alcuni scienziati sono stati in grado di individuare la presenza di acqua nella cometa interstellare 3I/ATLAS, capiamo insieme che significa.

Cometa 3I/ATLAS
Quest'estate la cometa 3I/ATLAS è entrata nel nostro sistema solare e gli scienziati hanno fatto una scoperta incredibile.

Questa estate la terza cometa interstellare finora conosciuta, denominata 3I/ATLAS, è entrata nel nostro sistema solare e da allora numerosi occhi si sono rivolti verso di lei, tra questi ci sono anche quelli dello Swift Gamma Ray Burst Explorer, noto ai più come telescopio spaziale Swift.

Si tratta di un satellite artificiale della NASA (National Aeronautics and Space Administration) lanciato in orbita il 20 novembre 2004. Questo satellite è dotato di strumenti all’avanguardia per lo studio dell’universo.

È proprio grazie alla strumentazione a bordo di Swift che gli scienziati dell’Università di Auburn hanno effettuato una scoperta straordinaria, ovvero hanno fatto la prima rilevazione di gas di idrossile (OH) proveniente da questo oggetto.

Trovata l'impronta chimica dell'acqua

Swift è quindi riuscito ad individuare il debole bagliore ultravioletto proveniente dalla cometa ed associato al gas idrossile, un’impronta chimica dell’acqua.

Per quanto riguarda le comete del sistema solare sappiamo che l’acqua è il punto di riferimento con cui poter misurare l’attività complessiva del corpo, osservando inoltre come la luce solare inneschi il rilascio di altri gas. In pratica l’acqua è il parametro chimico fondamentale su cui si basano tutti i confronti tra i ghiacci volatili nel nucleo di una cometa.

Tuttavia, come abbiamo detto all’inizio di questo articolo, la cometa 3I/ATLAS è una cometa interstellare, ovvero la sua origine è esterna al nostro sistema solare, e quindi la scoperta assume connotati molto più rilevanti e rappresenta un enorme passo avanti nella comprensione di come evolvono questo tipo di comete.

Cometa 3I/ATLAS 2
Tra non molto, a metà novembre, sarà possibile osservare nuovamente la cometa 3I/ATLAS sfrecciare nel cielo.

La presenza di acqua permette agli scienziati di svolgere confronti chimici dei sistemi planetari in tutta la galassia.

Ma le informazioni raccolte da Swift non si limitano a questa. Infatti il telescopio spaziale ha rilevato l’idrossile quando la cometa si trovava a quasi 3 volte la distanza tra la Terra e il Sole. Questa distanza è molto grande, ben oltre la regione in cui il ghiaccio d’acqua sulla superficie di una cometa può sublimare. Inoltre la perdita di acqua è enorme, di circa 40 chilogrammi al secondo.

La maggior parte delle comete originarie del nostro sistema solare, a quelle distanze, rimane inattiva, è naturale quindi chiedersi se alla base di questo forte segnale ultravioletto ci sia un altro meccanismo.

Lo studio di comete interstellari ci permette di conoscere aspetti diversi della chimica planetaria al di là del nostro sistema solare e ci suggerisce come possano sussistere ambienti di formazione planetaria completamente diversi da quelli che conosciamo.

La vita si può sviluppare anche in altre condizioni?

I processi come temperatura, radiazione e composizione chimica modellano i materiali che poi compongono i pianeti e che possono, eventualmente, portare allo sviluppo di forme di vita. Perché non è scontato che ci possa essere la vita solo alle condizioni terrestri e solari, in altri sistemi planetari potrebbero sussistere altre basi per l’evoluzione della vita.

Al momento comunque la cometa 3I/ATLAS non è visibile ma tornerà ad essere osservabile dopo la metà di novembre. Sicuramente quindi seguiranno ulteriori osservazioni della cometa che documenteranno come evolve la sua attività mentre si avvicina al Sole e queste forniranno ulteriori dati agli scienziati.

Non ci resta dunque che attendere ulteriori sviluppi ed eventualmente leggere l’articolo pubblicato di recente dai ricercatori dell’Università di Auburn sulla rivista The Astrophysical Journal Letters.

Riferimenti allo studio:

Zexi Xing et al 2025 ApJL 991 L50DOI 10.3847/2041-8213/ae08ab