Cratere sottomarino al largo della Gran Bretagna, svelata l'origine: è stato l'impatto di un enorme asteroide

Sebbene scoperto quasi 25 anni fa, solo ora arriva la conferma della sua origine da impatto. Parliamo del cratere di “Silverpit” nel Mare del Nord. Ora si cercano tracce dell’incredibile tsunami prodotto nell’impatto.

Silverpit
Ricostruzione sismografica del cratere di Silverpit. Credit: Phil Allen (PGL) e Simon Stewart (BP).

A Silverpit, zona nel Mare del Nord in acque territoriali inglesi a circa 130 km dalla costa, sul fondale marino giace un cratere, chiamato “cratere di Silverpit” dall'omonima località, con un diametro di circa 3 km ad una profondità di circa 700 metri.

Il cratere, scoperto nel 2002 durante un’indagine sismica finalizzata alla ricerca di giacimenti petroliferi, presenta una serie di anelli concentrici che dal più esterno e meno profondo (del diametro di circa 3 km) si succedono andando sempre più in profondità verso il centro ed un picco centrale.

Il tutto è ricoperto da uno strato di sedimenti che si sono andati accumulando dopo la sua formazione.

Ipotesi sulla sua origine

La prima ipotesi sulla sua origine è stata quella secondo cui si tratta di un cratere da impatto prodotto da un asteroide. Il cratere sarebbe stato prodotto dall'impatto di un asteroide di circa 160 m di diametro (ben maggiore nel caso fosse stata una cometa) ed una massa di circa 2 miliardi di kg, assumendo che avesse una velocità di impatto tra 20 e 50 km/s.

Ipotesi alternativa è quella secondo cui si sarebbe prodotto a seguito del collasso di una porzione di fondale marino associata ad attività vulcanica che, tuttavia, è stata esclusa.

I risultati del recente studio guidato da Uisdean Nicholson dell'Università Heriot-Watt di Edimburgo, pubblicato sulla rivista Nature Communications, confermano senza ulteriori riserve l’origine da impatto.

La conferma dell’impatto

Lo studio si è basato sull’analisi di campioni di rocce che erano state prelevate durante lo scavo di un pozzo petrolifero proprio in corrispondenza del cratere e che contengono “la firma” dell’impatto.

Infatti queste rocce mostrano la presenza di cristalli di quarzo e feldspato che possono essere prodotti solo da elevatissime pressioni, ottenibili appunto solo in caso di impatti di asteroidi o comete.

Cratere di Silverpit
Stessa immagine di copertina da una prospettiva diversa e in falsi colori. Credit: Phil Allen (PGL) e Simon Stewart (BP).

Secondo questo studio il corpo roccioso avrebbe avuto un diametro di 160 metri e avrebbe sollevato una colonna d’acqua alta 1500 metri producendo uno tsunami, del quale se ne stanno cercando possibili tracce sulla terraferma.

Si stima che l’impatto sia avvenuto circa 45 milioni di anni fa. L’impatto sarebbe quindi avvenuto durante l’era Cenozoica (esattamente durante l’Eocene) durante la quale, ormai avvenuta la scomparsa dei dinosauri, era in corso la differenziazione dei mammiferi.

I crateri da impatto sulla Terra

Conosciamo ad oggi circa 200 crateri da impatto sulla terraferma e appena 30 nei fondali marini. Scoprire l’esistenza di crateri da impatto sulla Terra è particolarmente difficile. Infatti, i ⅔ dei crateri esistenti dovrebbe trovarsi nei fondali marini (essendo la Terra coperta per la stessa frazione dei ⅔ da acque). Sulla base di questa proporzione, almeno 400 crateri rimangono ancora nascosti sotto le acque.

Inoltre, la terraferma è sottoposta a modifiche legate alla tettonica a placche che nel corso di milioni di anni riplasma la superficie terrestre cancellando la presenza dei crateri. Ma anche l’azione degli agenti atmosferici (vento, pioggia, …) ha l’effetto di erodere e/o coprire i crateri nascondendoli alla vista.

Invece, sulla Luna, dove non è presente attività tettonica né agiscono agenti atmosferici (essendo priva di atmosfera), tutti i crateri formatisi durante la sua vita rimangono ben visibili, cancellati eventualmente da successivi impatti.

Riferimento allo studio

“Multiple lines of evidence for a hypervelocity impact origin for the Silverpit Crater” Nicholson, U., Jonge-Anderson, I.d., Gillespie, A. et al. Nat Commun 16, 8312 (2025). https://doi.org/10.1038/s41467-025-63985-z