La tempesta "Daniel" devasta la Libia: quali sono le differenze fra i "medicane" e i cicloni tropicali tradizionali?

Ancora oggi quando si parla di “TLC” (“tropical like cyclone”) spesso si fa parecchia confusione, specialmente quando questo tipo di sistemi vengono associati ai tradizionali cicloni tropicali. Cerchiamo di scoprire le differenze fondamentali.

Anche se alla fine non è riuscito a diventare un vero “medicane”, la tempesta subtropicale “Daniel” ha dimostrato cosa sono capaci di fare questi piccoli vortici alla mesoscala, che si alimentano dal solo calore latente fornito dalla calda superficie di un mare chiuso come il Mediterraneo.

Il ciclone “Daniel”, responsabile delle gravi alluvioni che hanno devastato la Libia orientale, in modo particolare la città di Derna, dove si temono migliaia di morti, appartiene alla categoria dei cosiddetti sistemi depressionari “ibridi”, aventi caratteristiche tropicali. Fino a pochi decenni fa questi piccoli ma temibili cicloni simil tropicali venivano identificati come “TLC”, acronimo inglese di “tropical like cyclone”.

Anche se alla fine non è riuscito a diventare un vero “medicane”, la tempesta subtropicale “Daniel” ha dimostrato cosa sono capaci di fare questi piccoli vortici alla mesoscala, che si alimentano dal solo calore latente fornito dalla calda superficie di un mare chiuso come il Mediterraneo.

Ancora oggi quando si parla di “TLC” (“tropical like cyclone”) spesso si fa parecchia confusione, specialmente quando questo tipo di sistemi vengono associati ai tradizionali cicloni tropicali. Nella maggior parte dei casi l’unica vera differenza fra i “TLC” mediterranei e i tradizionali cicloni tropicali atlantici sta nella loro origine e nel meccanismo che ne determina il rapido approfondimento in mare aperto.

Cosa sono i “TLC”?

In molti casi i “TLC” non sono altro che delle tempeste “ibride” che presentano marcate caratteristiche sub-tropicali, caratterizzati da un’attività convettiva “asimmetrica” e da una “warm core” ben visibile nei medi e bassi strati.

In altri casi però può capitare che la convezione attorno il nucleo centrale possa divenire particolarmente profonda, tanto da fare spiraleggiare il sistema sempre più velocemente, assumendo una struttura sorprendentemente simmetrica, con un perfetto “anello di convezione”, composto da imponenti annuvolamenti torreggianti, che si chiudono a riccio attorno l’occhio centrale, tipico dei cicloni tropicali. Vedi, per esempio, il caso di "Ianos" quando la vorticità parti dal basso, invece che dall'alto, come invece accade per i "TLC".

Le differenze con i cicloni tropicali tradizionali

Nei “TLC”, a differenza dei tipici cicloni tropicali, lo scoppio dell’attività convettiva, che può avvenire pure sopra mari tutt’altro che caldi per mantenere un ciclone tropicale (+20°C +21°C), viene prodotto dall’afflusso in quota, sopra la circolazione depressionaria, di aria piuttosto fredda, con valori non adatti a processi ciclogenetici tropicali. Difatti in questo caso è proprio questo afflusso di aria decisamente più fredda in quota ad innescare la profonda ciclogenesi sub-tropicale, che poi riesce ad evolvere in un autentico ciclone tropicale.

Le stime delle piogge torrenziali di "Daniel" cadute in mare aperto, sullo Ionio.

Questo flusso di aria fredda, soprattutto fra media e alta troposfera, determina una significativa intensificazione dei moti convettivi (correnti ascensionali) interni alla circolazione depressionaria. L’intensificazione di queste correnti ascensionali, prodotta dall’inasprimento del “gradiente termico verticale” e del “gradiente igrometrico”, contribuisce a riempire il nucleo depressionario di aria piuttosto calda e molto umida, fino ai medi e bassi strati, iniziando a creare un cosiddetto “warm core”, con temperature di oltre i +1°C +2°C (se non pure più) rispetto all’ambiente circostante.

La presenza di un nocciolo depressionario, alla quota isobarica di 500 hPa, ancora a prevalente carattere freddo, può inizialmente illudere sulla possibile ibridazione, tanto da far apparire il sistema, già con caratteristiche tropicali, in un comune ciclone extratropicale (sotto l’aspetto del processo dinamico). Ma non è così, visto che il processo di trasformazione, da “baroclino” a “barotropico”, può risultare molto complesso, tanto da rendere quasi indeterminabile il tipo di sistema in evoluzione.

Durante questa fase il ciclone avvia la cosiddetta “tropical transition”, ossia l’evoluzione da un sistema ciclonico “baroclino”, in un sistema “barotropico”, con un minimo depressionario molto profondo, consolidato sia al suolo che in quota, nel medesimo punto (quindi concentrico) lungo tutta la verticale.

Ma prima della trasformazione in un sistema depressionario di tipo tropicale, nella fase di ibridazione, i flussi convettivi di calore sensibile (aria calda) e latente (aria umida) in ingresso nel vortice ciclonico devono dominare sulle altre correnti, riempendo quest’ultimo di aria calda e molto umida che innesca il processo di “autoalimentazione”, tipico dei cicloni tropicali.

Una volta riempitosi di aria calda e molto umida, questa enorme quantità di energia termica incamerata dal piccolo ciclone favorisce la rapida formazione di enormi sistemi temporaleschi che cominciano a ruotare attorno al minimo di bassa pressione, ben riconoscibile dal tipico occhio centrale.

Tutta questa energia potenziale viene trasformata in energia cinetica che produce un improvviso scoppio dell’attività convettiva (correnti ascensionali in rotazione vorticosa) attorno il centro della bassa pressione, comportando un notevole approfondimento di quest’ultima a seguito del calore latente sprigionato dalla condensazione del vapore acqueo messo a disposizione dalla calda superficie del mare.

L'immagine satellitare del ciclone "Daniel" poche ore prima del "landfall" distruttivo sulla Cirenaica.

L’autonomia dei “TLC”

Quando il processo sopra descritto termina il ciclone diventa pienamente autonomo rispetto al contesto sinottico generale, prendendo la sua energia dal calore latente fornito dal mare. Di conseguenza la convenzione, forzata, esplode nel centro del sistema, il “gradiente barico orizzontale” attorno il ciclone si rafforza a dismisura, divenendo anche molto fitto, mentre i venti si intensificano improvvisamente fino a superare i 100-120 km/h, con veri e proprie bufere di vento, specie sul quadrante meridionale, che agevolano la formazione del tipico occhio del ciclone attorno le imponenti “torri temporalesche”, molto ben visibile dalle moviole satellitari.

Senza questo tipo di innesco dinamico in quota, rappresentato da un flusso di aria molto fredda e secca che dalla bassa stratosfera riesce a scivolare verso l’alta troposfera (“invasioni di aria stratosferica”), destabilizzando l’intera colonna d’aria, la formazione dei “TLC” e la loro successiva degenerazione in “Mediterranean Tropical Storm”, o più raramente in “Medicane” (uragani mediterranei), diventa quasi impossibile.

Proprio per questo i “TLC” mediterranei possono nascere pure sopra mari freddi nel cuore della stagione invernale. Difatti in passato sono state osservate delle “Mediterranean Tropical Storm” e dei “Medicanes” muoversi sopra mari piuttosto freddi, con valori attorno i +18°C +19°C.