Alluvioni con un tempo di ritorno di 100 anni potrebbero verificarsi annualmente entro la fine del XXI secolo

Alluvioni con un tempo di ritorno di 100 anni, oggi meno probabili, diventeranno molto più frequenti entro la fine del XXI secolo, secondo un nuovo studio.

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Alluvioni finora meno probabili potrebbero diventare molto frequenti a seguito del cambiamento climatico.

Il "tempo di ritorno", o "periodo di ritorno", è un termine spesso usato per indicare la probabilità che un certo fenomeno naturale, come ad esempio un'alluvione causata dall'esondazione di un fiume, avvenga in un certo intervallo di tempo.

Un'area dove sono previste alluvioni con tempi di ritorno di 20-50 anni, sarà considerata a pericolosità elevata, perché le alluvioni in questo punto sono più frequenti, mentre tempi di ritorno di oltre 100 anni indicano una pericolosità più bassa, perché la probabilità che avvenga un fenomeno del genere è inferiore.

Secondo un recente studio, alluvioni con tempi di ritorno pari a 100 anni potrebbero colpire molte comunità costiere ogni anno, entro la fine del secolo XXI. Questo anche in uno scenario nel quale l'umanità riduca le emissioni di anidride carbonica a partire dal 2040. Secondo lo studio, già nel 2050, le regioni costiere potrebbero subire inondazioni con tempi di ritorno di 100 anni, in media ogni nove-quindici anni.

Secondo un recente studio, alluvioni con tempi di ritorno pari a 100 anni potrebbero colpire annualmente molte comunità costiere, entro la fine del secolo XXI.

Questo significa che alluvioni devastanti considerate oggi più rare, diventeranno più frequenti e quindi più probabili in un corto periodo di tempo.

Il tempo di ritorno

Il carattere statistico del concetto di "tempo ritorno" viene spesso confuso, e per questo faremo prima un piccolo ripasso. Il tempo di ritorno viene definito come una grandezza statistica che esprime la probabilità che un certo evento - ad esempio un fenomeno alluvionale - accada in un determinato anno.

Un'alluvione con tempo di ritorno pari a 100 anni significa che c'è una probabilità dell'1% che ogni anno si verifichi un evento naturale di quel tipo, e si basa su dati storici (conoscendo quindi quante volte è accaduto in passato).

Un periodo di ritorno di 100 anni on vuol dire che l'alluvione arriverà puntuale una volta ogni 100 anni. In aree dove c'è questo tipo di tempo di ritorno, infatti, le inondazioni possono colpire anche per due o più anni consecutivi, o non avvenire per più di un secolo.

In sostanza quindi, il tempo di ritorno è un concetto puramente statistico, che non "ricorda" quando si è verificato l'ultimo evento, ma dà una idea della probabilità di accadimento nel tempo.

Il cambiamento climatico cambia la frequenza degli eventi

Il nuovo studio, pubblicato su Earth's Future, la rivista dell'AGU (American Geophysical Union), rileva che le tendenze storiche che abbiamo usato per determinare i tempi di ritorno, prendendo in considerazione cosa è accaduto in passato, non forniranno più una informazione accurata sulla probabilità di inondazioni future.

"La soglia che oggi prevediamo venga superata in media una volta ogni cento anni, verrà superata molto più frequentemente con un clima più caldo, e non potremo più considerare questi eventi 'centenari'", ha affermato Hamed Moftakhari, ingegnere civile e professore presso l'Università dell'Alabama che ha supervisionato il progetto.

Sulla costa, le inondazioni estreme possono essere causate dall’acqua spinta verso l’interno da tempeste, maree e onde, ma questo studio si concentra su un componente che contribuisce alle inondazioni su una scala temporale molto più lunga: l’innalzamento del livello del mare.

Man mano che i mari vedono aumentare il proprio livello - si legge su Science Daily - le infrastrutture costiere saranno più vicine all’acqua, aumentando le probabilità che tempeste, maree e onde abbiano un impatto sulle comunità.

I ricercatori autori dello studio hanno utilizzato i dati provenienti da oltre 300 misuratori di marea in tutto il mondo per condurre analisi delle tendenze e stimare i futuri livelli estremi del mare in due scenari di emissioni di carbonio delineati dall'International Panel sui cambiamenti climatici (IPCC): con emissioni di biossido di azoto che continueranno ad aumentare fino alla fine del secolo, o con emissioni che raggiungeranno il picco entro il 2040 per poi diminuire.

In entrambi gli scenari i ricercatori hanno scoperto che l’innalzamento del livello del mare porterà ad un aumento degli eventi di inondazioni con tempi di ritorno 100 anni nella maggior parte delle località studiate. In particolare, come dicevamo all'inizio dell'articolo, questi eventi passeranno ad essere praticamente annuali, con una probabilità di verificarsi molto maggiore rispetto ad oggi.

"Un approccio proattivo alla pianificazione del territorio, allo sviluppo urbano e alle misure di protezione costiera potrebbe aiutare le comunità a ridurre le inondazioni ed evitare i disastri - ha affermato Moftakhari - e ciò inizia dall'effettuare previsioni realistiche delle future condizioni costiere".

Le alluvioni diventeranno più frequenti a seguito del cambiamento climatico, se l'umanità continuerà ad immettere in atmosfera le attuali concentrazioni di CO2.

Guardare al passato va bene, ma...

"Possiamo pensare che i trend che abbiamo osservato in passato rimarranno invariati in futuro, ma ci sono molti fattori legati al cambiamento climatico che stanno cambiando le cose", aggiunge Moftakhari. Bisogna quindi cambiare il nostro modo di guardare al futuro, perché le stime di probabilità che utilizziamo sono molto spesso basate unicamente su cosa è accaduto nel passato. Il futuro sarà però diverso a seguito del cambiamento climatico.

L’aumento delle temperature oceaniche e l’acqua di fusione dei ghiacciai stanno causando l’innalzamento del livello del mare, aumentando la frequenza e la gravità delle inondazioni costiere. Di conseguenza, bisogna aggiornare le nostre previsioni per permetterci di tenere il passo con il tasso di cambiamento.

Moftakhari ha affermato comunque di voler restare ottimista, perché "ci saranno progressi tecnologici che potrebbero migliorare la resilienza delle comunità”, e che le proiezioni fatte sul futuro non tengono conto di eventuali opere di mitigazione.