Il giorno in cui esplose la montagna: la terribile eruzione del vulcano Sant'Elena

Il 18 maggio del 1980, dopo settimane di inquietanti segnali, esplodeva una montagna negli USA: il vulcano St. Helens, il Monte Sant'Elena, tornava ad eruttare dopo un lungo periodo di quiete. La distruzione fu impressionante e la montagna cambiò completamente aspetto.

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Eruzione del Monte Sant'Elena, negli USA: il 18 maggio 1980 la montagna esplose.

Sono passati 43 anni dal 18 maggio del 1980, quando si verificò negli Stati Uniti una delle eruzioni esplosive più importanti del XX secolo, l'eruzione del vulcano del Mount St. Helens, il Monte Sant'Elena. Una eruzione esplosiva modificò per sempre il profilo di questa montagna, situata nello stato americano di Washington, e devastò le foreste nell'arco di decine di chilometri. Ci furono anche decine di vittime.

Le immagini dell'eruzione esplosiva che squarcia il vulcano, il drastico cambiamento di profilo della montagna dopo l'esplosione, e le foto dei boschi rasi al suolo dall'onda d'urto sono su tutti i libri di storia, oltre che sui manuali di vulcanologia, mostrando la potenza distruttiva che possono avere alcuni vulcani. Ecco cosa accadde, partendo dall'inizio, quando il Sant'Elena appariva ancora come una "normale" montagna.

Marzo 1980, primi segnali dai terremoti

Il 20 marzo del 1980, i sismografi della rete sismica dell'Università di Seattle registrarono un terremoto di magnitudo 4.1 in corrispondenza del vulcano. Era il primo segnale di un cambiamento nell'area vulcanica dopo 123 anni di quiete. Nei giorni successivi le scosse si ripeterono con sempre maggior frequenza, alcune anche più forti della prima, e crebbe l'allarme dei vulcanologi.

A quel tempo il vulcano aveva ancora una forma ben diversa da quella che avrebbe avuto dopo l'eruzione, come si può vedere nella foto qui sotto, dell'USGS, il Servizio Geologico statunitense.

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Immagine del Monte S.Elena (USA) scattata il 28 settembre 1979 da Rick Hoblitt. Si può vedere la forma della montagna molto diversa da quella di oggi Crediti: USGS

Nei giorni a seguire vennero installati nuovi sismografi sul Monte St. Helens, che rilevarono un crescendo dell'attività sismica e una probabile riattivazione del vulcano. Il 28 marzo venne rilevato un terremoto di magnitudo 4,8, il più forte registrato dall'inizio della sequenza sismica, e venne osservata una densa colonna di cenere e vapore sopra la montagna. A causarla, alcune esplosioni freatiche nell'area più elevata.

In quei giorni si intensificarono anche i segnali dal suolo, con l'individuazione di un largo crepaccio apertosi sul ghiaccio nelle aree più alte di questo monte, che a quell'epoca aveva una quota di 2.950 metri sul livello del mare.

Nella primavera del 1980 il Monte Sant'Elena, negli USA, aveva un'altezza di 2.950 m sul livello del mare. Dopo la terribile esplosione del 18 maggio, la nuova quota si sarebbe attestata a 2.549 m, quattrocento metri in meno!

Nella prima metà del mese di aprile la situazione rimase per lo più simile a quella di fine marzo: si verificarono frequenti esplosioni sulla cima della montagna, che erano però relativamente piccole in una zona pressoché spopolata, e senza fuoriuscita di magma, con emissione di cenere e vapore. Si trattava di eruzioni freatiche, legate quindi all'interazione tra acqua di falda e alte temperature nel sottosuolo.

Continuarono anche i terremoti, mentre le rilevazioni sul campo confermavano la presenza di un rapido scioglimento della neve e del ghiaccio. Intanto, destava sempre maggior preoccupazione un grosso rigonfiamento sul lato nord del vulcano, sulle cui cause però non c'era accordo tra gli scienziati. Molto probabilmente il magma si stava accumulando sotto la montagna, spingendo sempre più per uscire. Il grosso rigonfiamento si muoveva verso il basso e cresceva a un ritmo impressionante, fino a 2 metri al giorno!

Questo rigonfiamento crebbe rapidamente nelle settimane successive, fino a quando alla fine di aprile i geologi avvisarono di un imminente rischio di collasso. Il suolo continuò a rigonfiarsi a un tasso molto alto anche nei primi giorni di maggio.

Il fianco nord del Monte Sant'Elena si gonfiò a un ritmo di oltre 1 metro al giorno all'inizio di maggio: era il magma che si accumulava sotto la montagna, pronto ad uscire.

Il 5 maggio si verificò un terremoto di magnitudo 5.0, ancora più potente dei precedenti, ed erano già circa diecimila i terremoti registrati dall'inizio della crisi, nel mese di marzo, anche se la maggior parte di bassa magnitudo.

Fino al 17 maggio, il giorno prima del disastro, continuarono le visite dei turisti al vulcano, che lo osservavano a distanza, ammirando le piccole esplosioni sulla vetta dai belvedere situati ad alcuni chilometri dalla montagna. Nella foto qui sotto si può vedere come si presentava il vulcano il 16 maggio 1980, a poche ore dalla terribile eruzione. Una calma e una tranquillità ben lontana dalla catastrofe che si sarebbe scatenata poco dopo.

La devastante eruzione del 18 maggio

Alle 8:32 di mattina del 18 maggio, iniziò il disastro. Un terremoto di magnitudo 5.1 venne seguito poco dopo dal collasso di una enorme parte della montagna, con una frana di enormi dimensioni. L'enorme rigonfiamento che da settimane andava crescendo e spostandosi verso il basso, franò formando la più grande frana subaerea mai registrata nella storia, ricostruita nella successione di immagini che si possono vedere qui sotto.

Subito dopo la frana, una potentissima esplosione, migliaia di volte più potente delle piccole esplosioni freatiche avvenute da aprile e con un'energia equivalente a cinquecento bombe nucleari di Hiroshima, diede inizio alla devastante eruzione del Sant'Elena.

L’eruzione del 18 maggio 1980 è stata la più violenta nella storia degli USA, con un Indice di Esplosività Vulcanica 5, come l'eruzione del Vesuvio del 79 d.C.

Fu un'eruzione classificata con un VEI 5 (dove il VEI, Volcanic Explosivity Index, è l'Indice di Esplosività Vulcanica usato dai vulcanologi per indicare le dimensioni di un'eruzione), quindi di tipo pliniano, tra le più violente, come quella del Vesuvio che seppellì Pompei nel 79 d.C., ed è stata la più significativa eruzione avvenuta negli Stati Uniti nel secolo scorso e la più disastrosa nella storia degli Stati Uniti.

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L'impressionante colonna eruttiva del monte St. Helens del 18 maggio 1980 vista da Toledo (stato di Washington), 56 km a ovest-nordovest della montagna. L'immagine è un composto di circa 20 immagini separate. Rocky Kolberg, CC BY-SA 3.0 , via Wikimedia Commons

Nonostante dal 25 marzo fossero stati fatti tentativi di evacuazione, ci furono 57 vittime. La colonna eruttiva generata dalla terribile esplosione raggiunse una quota di 24 km e la cenere si depositò in 11 stati americani ed anche in Canada. Si sciolsero improvvisamente i ghiacciai situati in quota sulla montagna, e si formarono lahar (colate rapidissime di fango e detriti formate da depositi vulcanici) che distrussero tutto lungo il proprio percorso. Vennero distrutte 250 abitazioni, 47 ponti, 24 chilometri di ferrovia e 298 chilometri di strade.

Qui sotto, si può vedere come cambiò la forma della montagna dopo l'eruzione.

La potentissima eruzione, generando una altissima colonna eruttiva, portò anche alla formazione di flussi piroclastici, che sono nubi ardenti che si muovono ad elevatissime velocità caratterizzate da altissime temperature. I flussi piroclastici devastarono un'area a forma di ventaglio di 37 km di larghezza per 31 km di lunghezza. Circa 600 km² di foresta furono abbattuti. Qui sotto si può vedere il paesaggio che si presentava dopo l'eruzione.

Come si può vedere, enormi estensioni di foresta vennero abbattute. Quarantatre anni dopo, è ancora possibile osservare i resti dei tronchi di alberi morti a seguito dell'eruzione, ed il paesaggio non è ancora tornato ad essere com'era prima del 18 maggio 1980.

Un balzo in avanti per la vulcanologia moderna


L'eruzione del Sant'Elena ha fatto fare un balzo in avanti alla vulcanologia internazionale, grazie all'intenso monitoraggio del vulcano, con la messa a punta di sistemi di monitoraggio e sorveglianza sempre più accurati, come spiega in un articolo l'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV).