Le immagini dei telescopi spaziali e l’arte di colorare l’invisibile

I telescopi spaziali oltre che nel visibile osservano soprattutto a lunghezze d'onda invisibili all’occhio, come quelle infrarossa e X. Come si rendono allora visibili (e spettacolarmente belli) quegli oggetti astronomici invisibili all’occhio?

Pillars of creation
Immagine della nebulosa Aquila (Eagle Nebula anche chiamata M16) ottenuta con lo strumento MIRI dal telescopio James Webb. Credits: NASA, ESA, CSA, STScI; Joseph DePasquale (STScI), Alyssa Pagan (STScI)

Oltre la luce visibile, sappiamo che esistono anche altre onde elettromagnetiche. Esistono, ad esempio, le onde radio, i raggi infrarossi, i raggi ultravioletti, i raggi X e gamma. Sebbene tutte queste onde abbiano la stessa natura (elettromagnetica) della luce visibile, tuttavia, non riusciamo a vederle.

Come rendere visibile l'invisibile

Per rivelare l’esistenza di queste onde che vengono emesse da oggetti astronomici (o da loro componenti) non visibili all'occhio sono stati costruiti appositi strumenti, che chiamiamo rivelatori, i quali riescono a ��vederle” e a misurarle.

Sostanzialmente, i rivelatori trasformano le onde non visibili in segnali elettrici, producendo in questo modo un'immagine digitale dell'oggetto osservato. Si tratta di immagini digitali costituite di pixels, ciascuno dei quali avrà una sua intensità. La stessa tecnica funziona anche per la luce visibile.

Le immagini a lunghezze d'onda non visibili all'occhio vengono trasformate in immagini digitali e poi trasferite dal telescopio spaziale a Terra, dove vengono elaborate prima di essere divulgate.

A seconda del tipo di onda vengono utilizzati specifici rivelatori: quelli per rivelare i raggi X saranno ben diversi da quelli per rivelare i raggi infrarossi o le onde radio.

Come si elaborano le immagini

Se gli astronomi rivelano radiazione X proveniente da una lontana galassia, come si fa a rappresentare “visibilmente” l’immagine X di questa galassia, o similmente, se si osserva radiazione infrarossa proveniente da un disco stellare, come si riesce a visualizzare l’immagine infrarossa di questo disco, essendo invisibile all’occhio?

Ciò che i rivelatori producono sono immagini digitali, costituite da pixels, ciascuno dei quali avrà una sua intensità.

Tutte le immagini digitali nascono come immagini in bianco e nero con una scala di toni di grigio.

Se osservo nell’infrarosso un disco stellare (cioè il disco di polveri e gas che circonda la stella e in cui si formano gli esopianeti) con un rivelatore sensibile all’infrarosso, ottengo un’immagine digitale in bianco e nero.

Sia che si osservi nel radio o nell'X, come anche nel visibile, i rivelatori producono immagini in bianco e nero.

Le regioni più brillanti, lì dove la radiazione infrarossa è più intensa, avranno livelli di grigio tendenti al bianco, le regioni meno brillanti in cui la radiazione è più debole, avranno livelli di grigio tendenti al nero.

Come si colorano le immagini

Generalmente, il rivelatore è accoppiato a un set di più filtri. L'oggetto astronomico viene quindi fotografato in più filtri, ciascuni dei quali produce un'immagine in scala di grigi. La scelta dei filtri dipende da quale caratteristica fisica dell'oggetto astronomico si vuole analizzare. Per esempio, ci sarà un filtro sensibile alla radiazione emessa dall’idrogeno neutro, un filtro per l'idrogeno ionizzato, uno per l'ossigeno, altri filtri per specifiche molecole.

Sul telescopio spaziale James Webb la camera NirCam per le osservazioni infrarosse è dotata di ben 29 filtri, di cui 13 osservano nel vicino infrarosso e 16 nel lontano infrarosso.

Quando il telescopio James Webb osserva una nube di polveri e gas come quella nell'immagine di copertina utilizza più filtri tra i 29 disponibili così da ottenere immagini diverse dello stessa nube, ma comunque ciascuna sempre in scala di grigi.

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Stessa immagine di prima, ottenuta colorando 6 immagini in scala di grigio ottenute con filtri diversi e successivamente combinate in un'immagine a colori. Credits: NASA, ESA, CSA, STScI

E’ a questo punto che interviene lo specialista in elaborazioni di immagini il quale assegna un colore diverso a ciascuna delle immagini prese.

Supponendo di avere sei immagini in scala di grigio dello stessa nube ottenute con sei diversi filtri, a ciascuna immagine viene assegnato un colore diverso, proprio come nell'immagine di sopra (in cui viene riportato il codice del filtro utilizzato).

La combinazione di queste sei immagini produce l’immagine a colori nell’infrarosso di un oggetto invisibile all’occhio ma reso visibile e a colori.

Obiettivo della colorazione è quello di sfruttare colori diversi per mettere meglio in risalto i dettagli dell’oggetto astronomico fotografato.

Il criterio generale è di assegnare il colore blu alle immagini del vicino infrarosso (lunghezze d'onda più piccole), il verde alle immagini del medio infrarosso e il rosso alle immagini del lontano infrarosso (lunghezze d'onda più grandi).

Se invece di tre si utilizzano sei filtri come nell'esempio di sopra, allora si vanno ad assegnare i colori intermedi quali il viola, il verde acqua, l’arancione e così via a seconda del numero e tipo di filtri.

Il tocco finale

La bravura dello specialista in elaborazione di immagini sta nel calibrare opportunamente le intensità dei vari colori in modo da mettere in risalto quei particolari dell’oggetto per cui è stato osservato.

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La giusta calibrazione di intensità permette di esaltare i particolari più interessanti dell'oggetto fotografato. Credits: NASA, ESA, CSA, STScI

Ad esempio, un’immagine di una nube molecolare dove stanno nascendo nuove stelle sarà caratterizzata da zone di idrogeno neutro, di idrogeno ionizzato, di jet protostellari, di regioni ricche di polveri, ma anche da protostelle ancora immerse nella loro coltre di polveri. Se voglio risaltare proprio quest'ultimo particolare (cioè le stelle neonate), calibrerò opportunamente l’intensità del colore rosso in modo da far risaltare nell’immagine questi embrioni stellari.

E' anche possibile combinare immagini dello stesso oggetto ma osservate con strumenti diversi. Ad esempio le immagini nel vicino infrarosso ottenute da NirCam possono essere combinate con quelle nel medio infrarosso ottenute con MIRI, altro strumento a bordo di JWST e ottenere immagini ancora più ricche di dettagli, come quella qui sotto.

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Immagine della stessa Eagle nebula, ma ottenuta combinando le immagini della camera NirCam e dello strumento MIRI. Credits: NASA, ESA, CSA, STScI, J. DePasquale (STScI), A. Pagan (STScI), A. M. Koekemoer (STScI)

L'operazione di colorazione non ha solo una valenza estetica. Poter associare colori diversi a componenti diverse dello stesso oggetto permette di poter fare una ricostruzione tri-dimensionale che aiuta lo scienziato a comprenderne più facilmente struttura, componenti, e dinamica.