Alla scoperta dello zero termico e del limite delle nevicate: cosa significano questi termini?

Sempre più spesso parliamo dello zero termico. In estate per la conservazione dei ghiacciai, in inverno per la previsione neve e il rischio valanghe. Come differisce e perché dal limite delle nevicate? Facciamo chiarezza su questi importanti termini della nivometeorologia e glaciologia.

Spettacolare nevicata sulle Alpi: il limite delle nevicate è strettamente legato allo zero termico, ma può differire anche di molte centinaia di metri in alcune situazioni. Ecco quali.

Le previsioni e in particolare i bollettini valanghe parlano spesso dello zero termico. Questo termine è venuto alla ribalta in particolare a seguito della drammatica tragedia della Marmolada, quando lo zero termico era straordinariamente alto anche per l’estate. E’ comunque un termine noto e ampiamente usato da anni, così Meteored ha pensato di renderlo disponibile nelle nostre mappe. Potremmo infatti pensare lo zero termico come quota in cui la neve è garantita, sia come conservazione che come tipo di precipitazione.

Cosa intendiamo però con “limite delle nevicate”, altro termine forse un po’ tecnico ma proprio della meteorologia? Facciamo un po’ di chiarezza su questi importanti parametri per la nivometeorologia.

Lo zero termico

Ogni giorno nel mondo circa 1000 stazioni meteorologiche lanciano a orari prestabili i palloni sonda per effettuare i radiosondaggi. A una certa quota, la sonda riscontra, anche in estate, anche ai tropici, la temperatura di 0°C. Questa quota corrisponde appunto allo zero termico.

In pratica, lo zero termico è la quota in cui in libera atmosfera viene misurata la temperatura di zero gradi (0°C).

Importante sottolineare che lo zero termico è una quota e non una temperatura, si esprime dunque in metri. E’ errato, quando le temperature scendono sotto 0°C, dire “temperature sotto allo zero termico”.

Lo zero termico oltre che dai radiosondaggi, dunque “osservato” può essere stimato dai modelli, sia di analisi che di previsione. In genere meno preciso, consente però maggiore dettaglio spaziale e temporale.

Talvolta possono aversi più quote di zero termico. Questo succede in presenza di inversioni termiche. In tal caso si indica nei bollettini meteo la più alta, in quanto rappresentativa per la neve in quota.

Una pericolosa valanga a lastroni innescata da uno scialpinista. Lo zero termico è un parametro fondamentale nella nivologia e per formulare i bollettini nivometeo, da consultare sempre prima di escursioni.

Qualche approfondimento sullo zero termico

Le condizioni locali nelle valli, cime e pendii possono differire da quelle in “libera atmosfera”. In particolare specie il ciclo diurno della temperatura può portare valori sotto zero anche al di sotto della quota di zero termico. E’ frequente in inverno trovare zero termico anche oltre 2500 m, e gelate diffuse o perfino nebbia brinosa e galaverna in pianura padana o nelle valli.

Lo zero termico da comunque importanti informazioni meteonivologiche, per lo stato e la conservazione del manto nevoso. Diciamo che oltre questa quota la neve è garantita sia per la conservazione che come tipo di precipitazione.

Importanti però sono anche le condizioni igrometriche. In aria secca, anche con zero termico alto la neve può conservarsi e perfino di notte gelare in parte, specie in assenza di vento.

Altrettanto, all’arrivo della perturbazione lo zero termico è importante per stabilire a che quota nevica, ma qui le cose si fanno più complicate e anche interessanti.

Il limite delle nevicate

Ecco ora qualche approfondimento su questo importante aspetto. Legittimamente, possiamo aspettarci neve dalla quota di zero termico in su. In realtà, la neve scende anche al di sotto di questa quota.

In genere, il limite delle nevicate si colloca 200-300 m al di sotto dello zero termico. Ovviamente con neve via via più umida e poi bagnata, quindi mista a pioggia.

Questo avviene per vari processi fisici e aspetti locali. Anzitutto, il fiocco ci mette un po’ di tempo a fondere e passare di stato da solido a liquido. Entra poi in gioco l’intensità di precipitazione. Con precipitazioni deboli, il limite delle nevicate è prossimo o poco sotto lo zero termico. Man mano che i fenomeni si fanno moderati o forti appunto, la neve può arrivare anche 200-300 m sotto lo zero termico. Con precipitazioni molto intense la neve arriva anche 400-600 m sotto l’isoterma di 0°C.

Nelle valli chiuse, il ristagno di aria fredda può favorire nevicate anche 800-1000 m sotto lo zero termico.

Altra condizioni in cui la neve arriva molto al di sotto dello zero termico, è quando l’atmosfera è molto isoterma e prossima allo zero, ma senza andare sopra a +1,+1.5°C: in questo caso in passato si sono osservate nevicate in pianura padana con zero termico a 1500-1800 m.

Un caso particolare è la situazione che causa il fenomeno del gelicidio. Quando aria molto fredda ristagna in pianura e nelle valli, ma aria calda affluisce a media quota, lo zero termico si porta alto, ma a fondovalle appunto non compare neve ma questo insidioso fenomeno.

Zero termico, limite nevicate e temporali

Un temporale di neve può essere un vero spettacolo, e qui l’atmosfera diventa ancora più la “fabbrica delle meraviglie”.

Nella zona di cumulonembo in cui è presente l’updraft, l’aria calda ascendente, lo zero termico aumenta di quota e la presenza di moti convettivi rende il limite neve prossimo o anche sopra allo zero termico in libera atmosfera.

Dove però sono presenti in downdraft, aria fredda discendente e precipitazioni molto intense a carattere di rovescio, si assiste a un crollo repentino del limite delle nevicate, anche molte centinaia di metri sotto allo zero termico. Spesso qui la neve è sotto forma di graupel, la neve granulosa tipica soprattutto della primavera.