COP30, il grande assente di Belém: senza i combustibili fossili nell’accordo possiamo davvero salvare 1,5°C?

A Belém in Brasile la COP30 si è chiusa senza citare petrolio, gas e carbone, proprio nel vertice che avrebbe dovuto segnare l’accelerazione verso l’1,5°C. Tra proteste indigene, tensioni geopolitiche, nubifragi, l’incendio e un testo finale debole sui nodi cruciali, resta aperta la domanda più scomoda: abbiamo ancora speranze di salvare la Terra?

Attivisti e indigeni colombiani manifestano a COP30 per chiedere che l'accordo includa l'abbandono dei combustibili fossili. Non è andata così, ma proprio la Colombia ha annunciato in plenaria conclusiva la convocazione della prima conferenza mondiale sull'abbandono delle fonti fossili. Si terrà proprio in questo paese sudamericano, nell'aprile 2026 a Santa Marta.

Si è conclusa sabato sera la 30° Conferenza delle Parti delle Nazioni Unite sul Cambiamenti Climatici, con circa 24 ore di ritardo sulla scadenza prevista per venerdì 21 novembre.

A caratterizzare la COP30 è stato il contesto amazzonico, con il suo carico simbolico e politico. Poi la partecipazione record con alta rappresentanza dei popoli indigeni, manifestazioni con episodi senza precedenti, tensioni politiche crescenti su combustibili fossili, finanza e ruolo della scienza, nubifragi, fino a culminare nel grave incendio del 20 novembre.

Venendo ai documenti approvati, la domanda che ci si pone dunque è la solita: gli scarsi risultati ottenuti ci permettono ancora di restare entro 1,5°C?

Il Global Mutirão: un salto verso l’attuazione

Il documento principale della COP 30 si chiama Global Mutirão”. Il termine Mutirão viene dal portoghese ed è molto usata in Brasile. Si riferisce a uno sforzo collettivo, comunitario, volontario, in cui più persone si uniscono spontaneamente per risolvere un problema, costruire qualcosa o affrontare una sfida comune.

È un testo politico di indirizzo, che inizia celebrando i 10 anni dell’Accordo di Parigi. Riafferma i target dell’IPCC: riduzione 43% emissioni entro 2030 del 60% entro 2035, emissione nette zero entro il 2050.

Introduce due nuovi strumenti di implementazione: il Global Implementation Accelerator e la Belém Mission to 1.5°C. Ampio spazio trova l’aumento della finanza climatica per aiutare i paesi più poveri e vulnerabili, auspicando si arrivino a raccogliere 1.3 trilioni di dollari anno entro 2035.

Vi è però un grande assente: i combustibili fossili. Si auspicava un rafforzamento del risicato “transitioning away” deciso a COP28 a Dubai due anni fa.

Nel documento finale approvato infatti non si trova nessun riferimento a petrolio, gas e carbone nel testo finale. Critiche per questa mancanza sono state espresse negli interventi in plenaria di molti paesi, Colombia in primis, dall’Unione Europea nonché da prestigiosi scienziati e dalla maggior parte delle organizzazioni non governative.

La Giusta Transizione: il pilastro sociale del clima

Abbandonare i combustibili fossili è necessario per ragioni climatiche e ambientali, ma dal punto di vista sociale e del mondo del lavoro può portare pesanti conseguenze. La transizione climatica per essere efficace deve quindi essere anche giusta dal punto di vista sociale.

COP 30 ha così approvato uno specifico documento sulla “Just Transition”. I punti chiave della decisione indicano che ogni Paese deve costruire la propria transizione, senza modelli imposti, basandosi sulle sue peculiarità economiche, sociali, di tradizioni ecc. Devono essere rispetto di diritti umani, del lavoro e dei popoli indigeni. La transizione energetica deve avvenire con la partecipazione attiva di lavoratori, sindacati, comunità, agricoltori, imprese, giovani. Deve essere garantito l’accesso universale all’energia pulita e sostenibile come elemento sociale essenziale. Sono necessarie, per attuare la decarbonizzazione, tecnologie e risorse accessibili anche ai paesi più vulnerabili.

Viene infine ricordato che la transizione energetica fallisce se produce ingiustizie e resistenze sociali. Solo una transizione equa rende politicamente possibile accelerare la decarbonizzazione.

Siamo ancora in tempo per 1,5°C?

Come noto e ribadito dal WMO in apertura della COP, la scienza dice che la finestra è stretta. Gli 1,5°C sono stati superati temporaneamente nel 2024. Il superamento definivo potrebbe avvenire attorno al 2030. Si potrebbe però rientrare successivamente sotto agli 1.5°C rispetto al periodo preindustriale dopo un “overshot” di qualche decennio. Per rientrare occorrono però tagli rapidissimi delle emissioni e una riduzione dell’uso dei combustibili fossili fin da subito. La mancanza di questo termine dai documenti di Belém, senza nessun riferimento al phase-out fossile, con Finanza climatica ancora insufficiente e NDC insufficienti allontana la speranza.

Il tema della dieta sostenibile è molto presente alle COP, nella foto un sit in che lancia slogan sull'alimentazione a base vegetale. Va però detto che il dato riportato non è scientificamente corretto e al contrario l'80% del problema clima dipende dalla combustione delle fonti fossili. Foto Luca Lombroso.

D’altro lato, ci sono segni di svolta. I mercati dell’energia virano verso le rinnovabili e la pressione sociale, scientifica e diplomatica cresce. La Colombia a COP 30 ha promosso la 1ª conferenza mondiale sul phase-out dai combustibili fossili. Si svolgerà a Santa Marta nell’Aprile 2026.

La Colombia a COP 30 ha promosso la 1ª conferenza mondiale sul phase-out dai combustibili fossili.

Comunque vada, l’IPCC ribadisce che ogni decimo di grado di aumento temperature evitato è un vantaggio e riduce il rischio di superare dei punti di non ritorno.

Hanno ancora senso le COP?

Negli ultimi anni le COP sono cambiate profondamente: da vertici quasi esclusivamente negoziali sono diventate enormi “fiere globali del clima”. I critici sostengono che siano costose, caotiche e contraddittorie, tra jet privati, speculazioni sugli alloggi e impegni spesso troppo deboli.

Tuttavia, un punto rimane centrale: le COP sono l’unico tavolo di governance climatica globale esistente. Imperfetto, lento, ma indispensabile. Il meccanismo decisionale del consenso porta inevitabilmente a compromessi al ribasso, ma evita rotture che svuoterebbero il processo multilaterale.

La vera sfida è riformare il metodo decisionale ONU e rendere le COP più snelle, trasparenti, e orientate all’attuazione, evitando i veti dei Paesi che frenano gli accordi. Le COP restano dunque necessarie, ma devono diventare molto più efficaci per avere senso in un decennio decisivo come il presente.