Covid-19 e caldo: "l'estate non farà sparire il coronavirus"

Nuovi studi avvertono che il caldo estivo non fermerà il coronavirus: sebbene le condizioni meteo abbiano una influenza sulla diffusione, i movimenti fra aree geografiche e l'assenza di misure di distanziamento incidono molto di più.

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Una delle domande più frequenti di questi tempi: "il caldo fermerà l'espansione del coronavirus?"

Da quando la pandemia di COVID-19 ha iniziato a sconvolgere le nostre vite uno degli aspetti che è stato più analizzato, oltre alla relazione fra il SARS-CoV-2 e lo smog, è stata quella della relazione fra espansione del coronavirus e condizioni meteo. Già a fine febbraio ci si domandava se in primavera, con l'arrivo dei primi tepori, ci sarebbe stata una riduzione dell'espansione dell'epidemia. Poi, le speranze si sono concentrate sull'estate. Riuscirà il caldo a fermare, o almeno a rallentare l'epidemia?

Molti studi sono in corso, e le conclusioni sono purtroppo ancora insufficienti a dare una risposta "definitiva". Come abbiamo ripetuto più volte in questi mesi, gli studi scientifici richiedono validazione, tempo, e dati consolidati. E l'epidemia è ancora troppo recente. Qualcosa però si sa. Ecco cosa dicono gli ultimi studi.

Lo studio pubblicato su Science: "il clima ha un'influenza modesta"

Un recente studio dell'Università di Princeton pubblicato sulla rivista Science indica che nonostante le condizioni meteo possano avere un ruolo rilevante nelle malattie endemiche, in questo caso è in corso una pandemia di una malattia nuova come il COVID-19, ed il clima potrebbe influire in modo modesto sulle dimensioni di questa pandemia. Lo studio aggiunge che "senza misure di controllo, nuovi fuochi di contagio sono possibili nelle zone più umide, e l'estate non limiterà in modo significativo le dimensioni della pandemia". Le temperature estive, insomma, non limiterebbero secondo questo studio la diffusione dell'epidemia.

"Non è chiaro - si legge - se le variazioni stagionali e geografiche del clima possano alterare sostanzialmente la traiettoria della pandemia. "Mentre le variazioni meteorologiche possono essere importanti per le malattie endemiche, durante la fase emergente di una pandemia il clima determina solo modesti cambiamenti delle dimensioni della pandemia".

Lo studio aggiunge comunque che con questo non si vuole dire che il clima non sia importante nel lungo periodo. In sostanza, non è una condizione sufficiente a bloccare l'espansione del virus SARS-CoV-2.

Un altro studio sottolinea l'importanza dei movimenti, meno del clima

Un altro studio, una revisione di pubblicazioni scientifiche sul tema effettuato da un gruppo di lavoro delle Università di Malaga e dal Consejo Superior de Investigaciones Científicas (CSIC) spagnolo, avverte che "risulta chiaramente troppo precipitato, per non dire sbagliato, assumere come ipotesi che la distribuzione attuale del COVID-19 si trovi in 'pseudo-equilibrio' con il clima".

Se da un lato lo studio accetta che ci sia una influenza dei fattori ambientali (quindi anche climatici) nella diffusione della pandemia, dall'altra, si legge conclude che "sono gli esseri umani il principale vettore di propagazione del virus, e la distribuzione globale del SARS-CoV-2 è legata soprattutto alla mobilità della popolazione, ed alla connettività geografica". In sostanza, come anche nello studio americano, se da una parte non si esclude del tutto un condizionamento del meteo nella diffusione del coronavirus, dall'altra sono altri i fattori che incidono in maniera molto più sostanziale: primo fra tutti, il movimento di persone fra paesi.

L'errore che starebbero facendo molti studi che correlano le condizioni meteo alla diffusione del virus, concludono i ricercatori spagnoli, è che non isolano le condizioni climatiche ed atmosferiche dal resto dei fattori.