L'Accordo di Parigi sul Clima: alla scoperta dei suoi obiettivi fra pregi e limiti. A che punto siamo nell'applicazione?

Gli obiettivi e gli impegni dell'Accordo di Parigi sul clima: cosa prevede e quali sono i suoi pregi e limiti. Ecco la cronistoria dei Vertici ONU che portarono alla storica COP 21 di Parigi. Quali sono le prossime tappe nella sua applicazione?

Delegati e osservatori entrano nella grande area all'aeroporto Le Bourget di Parigi dove si svolgeva la COP 21. Foto Luca Lombroso.

Nel dicembre 2015, la COP21 a Parigi segnò una svolta nella lotta ai cambiamenti climatici. Parteciparono delegati provenienti da 196 paesi membri dell'UNFCCC (Convenzione delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico), oltre a osservatori della società civile, giornalisti e media da tutto il mondo.

L'obiettivo era raggiungere un accordo globale per limitare il riscaldamento globale e ridurre le emissioni di gas serra, con l'Accordo di Parigi come risultato chiave. Ecco la storia e i contenuti di questo importante trattato.

Dal protocollo di Kyoto al fallimento di COP 15 Copenaghen

Il percorso parte dal 1992; all’Earth Summit di Rio de Janeiro fu stipulata la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sul clima. Questo trattato prevede un generico obiettivo di stabilizzare le concentrazioni di gas serra a un obiettivo non pericoloso.

stabilizzazione delle le concentrazioni atmosferiche dei gas serra, ad un livello tale da prevenire interferenze antropogeniche pericolose con il sistema climatico terrestre.

Per la sua applicazione ogni anno si svolge la COP, che ne è l’organo di governo. Il primo trattato internazionale che prevedeva riduzioni di gas serra arrivò nel 1997 alla COP 3 in Giappone, il “protocollo di Kyoto”. Questo accordo prevedeva riduzioni solo a carico dei paesi più industrializzati. Il target era una riduzione del 5% di emissioni a carico dei paesi “Annex 1” entro il 2012.

Alla COP 15 del 2009 a Copenaghen si sperava in un accordo storico, con obiettivi a lungo termine a carico di tutti i paesi del mondo, ma fu un fallimento con una grave rottura diplomatica e delusione della società civile.

Le COP successive a Copenaghen 2009 tracciarono il percorso della ricucitura negoziale, che individuava nel 2015 l’appuntamento per cercare il nuovo accordo.

La COP 21: il successo grazie a metodi decisionali indigeni

A novembre 2015 gravi attentati terroristici colpiscono Parigi, nonostante ciò l’appuntamento con la COP si svolge regolarmente e oltre 30000 delegati partecipano alla conferenza, svoltasi dal 30 novembre al 12 dicembre.

Il "metodo Indaba," ispirato dalla tradizione delle tribù Zulu africane, aiutò i negoziatori a raggiungere un accordo trasparente. Nella serata di sabato 12 dicembre, la "Plenaria,", in presenza del Presidente francese François Hollande e di vari leader e dei vertici ONU, approva l'"Accordo di Parigi sul clima".

L’accordo di Parigi fu “storico”, perché tutti i paesi del mondo vi hanno aderito e preso impegni, ma non è perfetto proprio in quanto frutto di mediazione e negoziati.

Un flash mob alla COP21 di Parigi, con giovani che chiedono di introdurre nel testo il termine decarbonizzazione. Questa proposta non passò i negoziati. Foto L.Lombroso

Gli obiettivi 1.5 e 2°C e in emissioni

L’accordo di Parigi prevede impegni sull’adattamento, scadenze di verifiche e controlli periodici. Riconosce una serie di importanti principi, fra cui i diritti umani, l’equità di genere, dei popoli indigeni, dei migranti ed equità intergenerazionale. Prevede impegni finanziari e aiuti ai paesi in via di sviluppo per investire su energie pulite e per la “perdita e danni” da eventi meteo estremi.

La parte più nota sono gli obiettivi di limitazione dell’aumento delle temperature. L’obiettivo è limitare l’aumento delle temperature globali “ben al di sotto dei 2°C rispetto all’era preindustriale, facendo ogni sforzo per limitarlo a 1.5°C”. Non vi è per questo una data di riferimento, ovvero è un limite che non andrebbe mai superato.

L’obiettivo a emissioni parla genericamente di arrivare a un equilibrio fra emissioni ed assorbimenti (emissioni nette zero, ma questo termine non è citato) entro la seconda metà del XXI secolo.

Gli impegni nazionali NDC

Il protocollo di Kyoto prevedeva cifre ben precise frutto di negoziati inserite in una tabella allegata al trattato. L’Accordo di Parigi ha una struttura e filosofia diversa: ogni paese è posto davanti alle sue responsabilità, e si deve impegnare a presentare i propri “impegni nazionali determinati”, detti NDC, in modo libero, senza date e standard di riferimento. In questo modo tutti i paesi del mondo hanno presentato i loro impegni.

L’Unione Europa si è sempre presentata unita e fra le più ambiziose, ora ha obiettivo di -45% emissioni entro il 2030. Gli USA, usciti dall’accordo con Trump e rientrati con l’attuale presidente Biden, hanno target al 2025, la Cina e India indicano una “riduzione rispetto al percorso business as usual.

A che punto siamo e cosa resta da fare

L’accordo stesso cita la presenza di un “GAP” fra il trend delle emissioni globali e il percorso necessario per stare entro i 2°C. Gli obiettivi appunto sono molto generici e gli impegni non vincolanti.

Su questi temi si discute ogni anno, per esempio COP 25 a Madrid fallì l’obiettivo di regolamentare il carbon Market. La COP 26 di Glasgow migliorò l’ambizione rilanciando l’obiettivo di 1.5°C e citando per la prima volta la riduzione del carbone.

La COP 28 del 2023 sarà a Dubai e dovrà ora affrontare il global stoketake, mentre nel 2025 è prevista la nuova presentazione degli NDC.

Nel frattempo le temperature globali aumentano; i tempi lenti della diplomazia non compatibili con l’urgenza della crisi climatica.